Valutazione critica dello studio “Rimpianto e soddisfazione a lungo termine riguardo la decisione, a seguito di mastectomia per l’affermazione di genere”
Riportiamo la traduzione di un articolo pubblicato su SEGM il 13 agosto 2023
I risultati di rimpianti ‘’pressoché zero” tra gli adulti soffrono di un rischio critico di bias (errori sistematici) e hanno una bassa applicabilità ai giovani.
Una recente ricerca pubblicata su JAMA Surgery ha valutato la soddisfazione e il rimpianto tra gli individui che avevano subito una mastectomia mascolinizzante del torace presso l’ospedale dell’Università del Michigan. L’età media dei pazienti al momento della mastectomia era di 27 anni; nessun paziente di età inferiore ai 18 anni è stato autorizzato a partecipare allo studio.
I partecipanti hanno riportato alti livelli di soddisfazione e bassi livelli di rimpianto in media 3,6 anni dopo la mastectomia. Gli autori dello studio hanno acclamato i “livelli bassissimi di rimpianto a seguito dell’intervento chirurgico di affermazione di genere” e hanno inquadrato le loro scoperte come in conflitto con il “crescente interesse legislativo nel regolare la chirurgia di affermazione di genere”, riferendosi agli attuali tentativi legislativi di limitare o vietare le procedure di “affermazione di genere” per i minori. Un altro gruppo di autori ha fornito un commento sul documento, rafforzando il punto di vista degli autori dello studio e affermando la presenza di un “doppio standard”: le mastectomie “per l’affermazione di genere” sono state sottoposte a un controllo eccessivo da parte dei legislatori degli stati, mentre altre procedure chirurgiche con tassi di rammarico più elevati non sembrano riguardare gli organi legislativi.
Lo studio soffre di gravi limitazioni metodologiche, che espongono i riscontri di alti livelli di soddisfazione a lungo termine dopo la mastectomia tra gli adulti a un “rischio critico di distorsione” – la valutazione più bassa tre quelle previste dall’analisi del Rischio di Bias (ROBINS-I). ROBINS-I è usato per testare gli studi non randomizzati per verificare la presenza di bias metodologici. La valutazione “rischio critico di distorsione” segnala che i risultati riportati dallo studio possono divergere significativamente dalla realtà. I risultati risentono anche della bassa applicabilità alla questione centrale che lo studio e il commento richiesto hanno voluto sollevare, ovvero se i tentativi legislativi di regolare gli interventi chirurgici di “affermazione del genere” sui minori fossero giustificati. Purtroppo, questi risultati altamente discutibili sono presentati come certi e assolutamente positivi sia dagli autori dello studio che dai commentatori su invito, molti dei quali hanno rilevanti conflitti di interesse.
Di seguito, forniamo una spiegazione dettagliata dei principali problemi metodologici dello studio, che ne rendono le tesi inaffidabili e non applicabili alla popolazione di pazienti al centro del dibattito: i giovani sottoposti a riassegnazione di genere. Inoltre, commentiamo anche una deriva allarmante: diverse prestigiose riviste scientifiche sembrano essersi allontanate dai loro standard precedentemente elevati di ricerca accademica, per diventare promotrici di una ricerca di scarsa qualità, apparentemente atte ad influenzare le decisioni di politica giudiziaria piuttosto che a far progredire la comprensione scientifica. Concludiamo con raccomandazioni su come i direttori delle riviste potrebbero ripristinare l’integrità del dibattito scientifico e alzare il livello della qualità degli studi pubblicati nel campo della medicina di genere.
Questioni chiave
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La dichiarazione di follow-up “a lungo termine” è imprecisa. Gli autori dello studio riconoscono che gran parte della ricerca sui risultati della medicina di genere risente di un follow-up a breve termine, mentre enfatizzano come il loro studio colmerebbe il divario in quanto presenta un follow-up “a lungo termine”. Questa affermazione è talmente centrale per le conclusioni dello studio da essere elevata a titolo dello studio, “Rimpianto e soddisfazione a lungo termine riguardo la decisione, a seguito di mastectomia per l’affermazione del genere”.
Sebbene gli endpoint dello studio coprano un arco di 30 anni (1990-2020), il tempo mediano post-operatorio è di soli 3,6 anni. Inoltre, solo una piccola percentuale (25%) dei partecipanti allo studio è stata seguita per più di 5 anni. Tale follow-up non può essere definito “a lungo termine”. Infatti è ben al di sotto del tempo medio che intercorre tra l’intervento e il rimpianto, documentato da studi precedenti intorno agli 8-11 anni.
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L’alto tasso di non partecipazione inficia la validità dei risultati. Un numero elevato di pazienti idonei (41%) non ha partecipato allo studio. La maggior parte degli studi che hanno riscontrato un “basso rimpianto” presentano tassi di mancato follow-up altrettanto elevati (20-60%). Alti tassi di non partecipazione minacciano la validità dei risultati, in quanto coloro che scelgono di non partecipare alla ricerca probabilmente hanno diversi livelli di soddisfazione e rimpianto. Maggiore è la diversità tra i gruppi di risposta e di non risposta per caratteristiche di base o altre, maggiore è la probabilità di un bias di non partecipazione.
Nella tabella che descrive le caratteristiche demografiche dei rispondenti e dei non rispondenti (Tabella 1), i ricercatori hanno fornito dati su alcune delle differenze tra i due gruppi. Sebbene manchino alcuni confronti rilevanti (ad esempio età, momento di insorgenza della disforia di genere, precedente trattamento con ormoni cross-sex), gli autori hanno correttamente evidenziato due importanti differenze: rispetto ai non rispondenti, le mastectomie del gruppo dei rispondenti erano più recenti (3,6 contro 4,6 anni) e il gruppo dei rispondenti aveva più ansia e depressione alla base (il 70% contro il 44%). Ognuna di queste differenze potrebbe influenzare i risultati ottenuti solo dai rispondenti in modo importante.
Diversità nel tempo trascorso dall’intervento: i primi anni successivi alle procedure di riassegnazione di genere, anche noti come “luna di miele”, sono caratterizzati da un miglioramento della qualità della vita e della soddisfazione, salvo poi diminuire dopo 3-5 anni. Il fatto che i rispondenti abbiano vissuto meno tempo dopo l’intervento chirurgico rispetto ai non rispondenti (3,6 anni contro 4,6 anni) suggerisce che gli esiti auto-riferiti siano probabilmente migliori dei risultati dei non rispondenti.
Diversità nello stato di salute mentale: gli autori riconoscono un’importante differenza nello stato di salute mentale di base tra i due gruppi: i rispondenti avevano più malattie mentali al basale. Tuttavia, gli autori minimizzano questa differenza, affermando che i tassi di uso di farmaci psichiatrici dei due gruppi erano assimilabili:
“I non rispondenti avevano anche tassi inferiori rispetto ai rispondenti delle diagnosi di depressione (42 [44%] vs 94 [68%]; P < 0,001) e ansia (42 [44%] vs 97 [70%]; P < 0,001) nella sezione di storia medica passata della cartella clinica al momento dell’intervento chirurgico (Tabella 1). Tuttavia, i tassi di uso di farmaci associati all’ansia e alla depressione al momento dell’intervento chirurgico non differivano tra i gruppi intervistati (eTable 3 nel supplemento 1)“.
L’affermazione che non ci fosse differenza nell’utilizzo dei farmaci dipende da valori p non statisticamente significativi (<0,05), riportati nella eTable 3 supplementare riportata sotto.
Sebbene i valori p abbiano un ruolo nel valutare se le differenze tra i gruppi siano attribuibili al caso, l’eccessivo affidamento ai valori p ha portato a problemi ben noti nel campo della ricerca. In questo caso, per valutare se i due gruppi avessero verosimilmente lo stesso tasso di utilizzo di medicazione psichiatrica – l’ipotesi zero – o se i rispondenti facessero maggiore ricorso a tali farmaci rispetto ai non rispondenti – l’ipotesi alternativa – è necessario guardare oltre l’analisi semplicistica del fatto che il valore calcolato p cada al di sotto della “soglia” di 0,05.
Come mostra la tabella eTable3, il 23,7% dei rispondenti stava assumendo un SSRI, contro solo il 14,6% dei non rispondenti. Questo valore superiore del 63% è un effetto su larga scala. Inoltre, il più alto tasso di utilizzo dei farmaci psichiatrici da parte dei rispondenti è coerente in tutte le classi di farmaci riportate. Infine, l’utilizzo superiore di farmaci psichiatrici registrato tra i rispondenti è congruente con il più alto tasso di malattia psichiatrica diagnosticata nello stesso sottogruppo. Tutti questi fattori supportano la conclusione che i rispondenti avessero un uso più elevato di farmaci psichiatrici, e che non si tratti solo di una risultato “casuale”. La mancanza di significatività statistica in questo caso è probabilmente un artefatto di un piccolo campione sottodimensionato, e non dovrebbe essere usata per affermare che i due gruppi sono simili. Se i ricercatori avessi confrontato l’uso di qualsiasi farmaco psichiatrico tra i gruppi, la differenza probabilmente sarebbe stata statisticamente significativa.
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Contrariamente alle affermazioni degli autori, la mancanza di procedure di inversione non è un segno di basso rimpianto/alta soddisfazione. Per mitigare il bias di non risposta di oltre il 40% dei partecipanti idonei, gli autori dello studio hanno analizzato le cartelle cliniche dei “non partecipanti” presso lo stesso istituto per verificare la presenza di procedure di “inversione” della mastectomia. Non avendo riscontrato tali “inversioni”, gli autori hanno concluso che i tassi di pentimento tra i non partecipanti fossero analogamente vicini allo zero. Tuttavia, questa ipotesi è fondamentalmente errata.
È improbabile che le pazienti insoddisfatte della loro decisione, che decidono per la detransizione, tornino dagli stessi medici che le hanno trattate originariamente – questo è già stato dimostrato in precedenti ricerche sulla detransizione. Inoltre, non tutti coloro che si pentono della mastectomia vorranno sottoporsi a un altro intervento chirurgico invasivo. Comunque, risulta ancora più problematica l’assunto degli autori che le mastectomie mascolinizzanti siano “reversibili”.
La tecnica chirurgica impiegata nelle mastectomie mascolinizzanti è molto diversa da quella impiegata quando le donne si sottopongono a mastectomia per cancro al seno. Nella ricostruzione per cancro al seno, gli aspetti del seno nativo sono tipicamente conservati per favorire il mantenimento di una forma femminile del seno. Al contrario, gli obiettivi della mastectomia mascolinizzante sono di mascolinizzare l’area del torace, in particolare la posizione del capezzolo, la forma del polo inferiore del seno e il posizionamento della cicatrice. Di conseguenza, re-femminizzare il torace delle detransitioner è una sfida chirurgiche peculiare. Le cicatrici, la scarsità di tessuti molli utilizzabili e la posizione del capezzolo sono ostacoli al raggiungimento di un “ripristino” esteticamente gradevole. Un altro problema per le detransitioners potrebbe essere il costo: mentre le compagnie assicurative scelgono sempre più spesso di pagare -o sono costrette a pagare- per le mastectomie di “affermazione del genere”, solitamente non coprono le procedure di ripristino. Di conseguenza, il processo di detransizione medica e i tentativi di chirurgia ricostruttiva potrebbero avere costi proibitivi per molti pazienti.
La discussione di cui sopra riguarda solo una “riconversione” estetica. La funzione cosmetica di un seno è secondaria alla sua funzione di organo umano in grado di produrre latte per nutrire la prole. In nessun modo la “riconversione” estetica, comunque difficile nel caso della mastectomia maschile, può ripristinare il funzionamento di un seno a causa della rimozione dei dotti del latte.
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I risultati dello studio suggeriscono che il miglioramento della salute mentale non è più l’obiettivo di interventi di “affermazione di genere”. Lo studio non intendeva indagare sulla salute mentale o sui risvolti funzionali. L’attenzione si è concentrata piuttosto sulla soddisfazione auto-riferita. Tuttavia, la premessa fondamentale alla base degli interventi di “affermazione di genere” finora non era che portasse alla soddisfazione, ma la sua importanza critica per un funzionamento ottimale della salute mentale. Secondo la politica clinica provvisoria del NHS England sulla pratica della transizione di genere nei minori, rilasciata all’inizio di questo mese, i trattamenti dovrebbero mirare a “migliorare l’impatto potenzialmente negativo dell’incongruenza/disforia di genere sui processi generali di sviluppo, … sostenere i giovani e le loro famiglie nella gestione delle incertezze inerenti allo sviluppo dell’identità di genere e fornire opportunità continue per l’esplorazione dell’identità di genere”.
Nonostante l’accesso alle cartelle cliniche e l’approvazione dell’IRB per analizzare le registrazioni, gli autori dello studio non hanno tentato di determinare se gli individui disforici di genere sottoposti a mastectomia avessero una salute mentale o un funzionamento generale migliore o peggiore rispetto ad altri individui disforici che non avevano richiesto o ottenuto la mastectomia. Sebbene importanti come esiti secondari, i risultati di “soddisfazione” o “pentimento” riportati dai pazienti sono incoerenti con le argomentazioni a sostegno della necessità medica di interventi di “affermazione del genere”, specialmente nei giovani.
Lo studio ha anche rivelato una scoperta apparentemente inaspettata: il raggiungimento della “congruenza” con l’identità non era correlato alla soddisfazione o al pentimento per il trattamento. Gli autori hanno notato che per circa il 20% dei partecipanti (27/139), l’identità di genere è mutata dopo l’intervento chirurgico. La principale “migrazione” è stata dalla categoria degli “F to M” (da femmina a maschio) (n=95) alla categoria non ben definita dell’identità di genere “multipla” (vedi eTable 1).
Gli autori hanno condotto un’ulteriore analisi dimostrando che, anche in presenza di cambi di identità post-chirurgica, la soddisfazione e il rimpianto non sono stati influenzati negativamente: sia gli individui le cui identità di genere sono rimaste coerenti, che quelli le cui identità sono cambiate, erano, allo stesso modo, molto soddisfatti della mastectomia.
Nonostante la piena soddisfazione del paziente riguardo la mastectomia in un contesto di identità mutevoli sia un risultato interessante, solleva una questione cruciale: se l’obiettivo del trattamento non è il miglioramento della salute mentale o dello stato funzionale, né il raggiungimento della “congruenza” con l’identità percepita, allora qual è l’obiettivo del trattamento e in che modo è diverso dalla chirurgia plastica estetica?
Sempre più spesso, i sostenitori delle cure per l’affermazione di genere insistono sul fatto che la finalità del trattamento dovrebbe essere il raggiungimento degli “obiettivi di incarnazione“. I risultati di questo studio supportano l’idea che la “cura di affermazione di genere” possa aiutare a raggiungere l’obiettivo di “incarnazione” individuale in modo soddisfacente. Gli individui sono liberi di perseguire l’autonomia del corpo. Tuttavia, è decisamente più arduo pretendere che i medici debbano soddisfare gli obiettivi di “incarnazione” dei pazienti o che chi paga (enti pubblici e privati) sia tenuto a considerare simili procedure necessarie dal punto di vista medico e quindi passibili di rimborso.
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Gli autori confondono in modo preoccupante la soddisfazione degli adulti con i risultati per la salute di bambini e adolescenti. Sebbene i minori fossero idonei per l’intervento nell’ospedale, sono stati esclusi dalla partecipazione allo studio sugli esiti. Dato il focus sul dibattito per i minori, escludere dalla ricerca le minorenni sottoposte a mastectomia è una decisione singolare; sorprende anche che gli autori non abbiano nemmeno specificato quanti rispondenti si erano sottoposte alla mastectomia da minorenni. Tuttavia è probabile che la maggior parte di coloro che hanno risposto al sondaggio avessero 18 anni o più al momento dell’intervento chirurgico (ciò si evince dall’età mediana di 27 anni nell’intervallo interquartile di 23-33.)
I risultati degli studi su partecipanti adulti non possono essere ragionevolmente trasferiti su bambini/adolescenti, a causa della diversa capacità decisionale che caratterizza bambini e adulti, in merito a interventi invasivi e irreversibili a lungo termine Poiché la totalità dei dati sulla soddisfazione e il pentimento provenivano da adulti, è inappropriato per gli autori e i commentatori sfruttare i risultati dello studio, affidabili o meno, per sostenere una politica riguardante i minori.
- La mancanza di una comparazione minaccia la validità della conclusione. I risultati dello studio, che indicano elevata soddisfazione e basso tasso di pentimento riguardo al trattamento, sono falsati dal fatto che non sappiamo cosa abbia contribuito alla soddisfazione. Svariati fattori, come il passare del tempo, il coinvolgimento di medici professionisti, la terapia, un migliore controllo della malattia mentale o l’uso di farmaci che migliorano l’umore potrebbero essere responsabili dei sentimenti complessivi di alta soddisfazione e basso rimorso per il trattamento scelto. Inoltre, non abbiamo idea del grado di soddisfazione e della qualità della vita di coloro che non si sono sottoposti a mastectomia per l’affermazione di genere. Questo è il motivo per cui le ricerche prive di un gruppo di confronto sono fondamentalmente inaffidabili.
SEGM Take-Aways
Sebbene questo studio riporti tassi molto elevati di soddisfazione e basso pentimento, il lasso di tempo in cui questi risultati sono stati valutati è insufficiente – mediamente solo 3,6 anni dopo la mastectomia. Il campione è anche altamente distorto: il 50% dei partecipanti ha avuto mastectomie negli ultimi 3,6 anni (sui 30 anni presi in considerazione). Questa distorsione del tempo trascorso dall’intervento chirurgico era prevedibile, dato il rapido aumento del numero di persone (specialmente adolescenti e giovani adulti) che si identificano come transgender e si sottopongono a mastectomia di mascolinizzazione toracica. Si tratta inoltre di un periodo di tempo troppo breve per valutare il rimpianto, soprattutto perché un quarto dei partecipanti allo studio aveva meno di 23 anni al momento dell’intervento chirurgico, e l’età media del primo parto negli Stati Uniti è di 30 anni.
La conclusione di alta soddisfazione/basso pentimento soffre di un rischio critico di distorsione a causa dell’alto tasso di non partecipazione, delle importanti differenze tra partecipanti/non partecipanti e della mancanza di un gruppo di controllo. E’ preoccupante che gli autori utilizzino in modo improprio dei risultati (fortemente distorti) che riguardano adulti per argomentare contro le normative sugli interventi di trasformazione corporea irreversibile sui minori, e lo facciano con un taglio decisamente politicizzato.
L’unico commento onesto da un punto di vista intellettuale è che non abbiamo una conoscenza sufficiente dei verosimili tassi di detransizione e pentimento a seguito della mastectomia per mascolinizzazione toracica, né sappiamo quante persone provino rimpianti, ma siano proseguano comunque nella transizione. C’è urgente bisogno di ricerca di qualità in quest’area. In passato, si riteneva che i tassi di detransizione e di pentimento fossero bassi: è possibile che fossero effettivamente bassi, a fronte di screening molto più rigorosi, oppure i risultati potrebbero essere stati falsati dai tassi di abbandono notoriamente alti che affliggono la ricerca sui “pentimenti”. In ogni caso, attualmente ci sono prove evidenti di tassi molto più elevati di detransizione medica.
Un recente studio da un set di dati completo degli Stati Uniti, senza perdita di follow-up, ha rivelato un tasso di detransizione medica del 36% tra le femmine entro soli 4 anni dall’inizio della transizione ormonale. Almeno due studi recenti suggeriscono che il tempo medio di pentimento tra le femmine che hanno effettuato di recente la transizione è di circa 3-5 anni, ma c’è un’ampia variabilità. Si sa molto meno sulla detransizione tra coloro che si sottopongono a un intervento chirurgico. Un numero crescente di detransitioners ora esprime rammarico per la perdita della capacità di allattare, è c’è un caso di studio che documenta il sentimento di lutto dovuto all’impossibilità di allattare al seno vissuto 15 anni dopo la mastectomia.
Lo studio e i commenti su invito testimoniano tre tendenze problematiche che inficiano gli studi che provengono dalle cliniche di genere: i pericolosi conflitti di interesse degli autori; la strumentalizzazione di riviste scientifiche per camuffare articoli a sfondo politico come ricerca di qualità; un approccio contraddittorio da parte dell’establishment della medicina di genere sulla chirurgia per i minori.
Di seguito illustriamo brevemente questi tre aspetti.
Conflitti di interesse di autori e commentatori dello studio
Non si possono trascurare i rilevanti conflitti di interesse dei medici di genere che studiano e presentano sui risultati degli interventi di “affermazione di genere”. Questi medici sono in conflitto sia dal punto di vista economico, poiché i loro ambulatori sono specializzati in interventi di “affermazione di genere”, sia dal punto di vista intellettuale. Sebbene i conflitti di interesse siano comuni tra gli esperti, i ricercatori dovrebbero comunque cercare di mantenere equilibrate le loro valutazioni, e hanno il dovere di essere consapevoli e tener conto dei propri conflitti di interesse.
L’interpretazione dei dati in questo studio non è né rigorosa né equilibrata, e sia lo studio che i commenti su invito hanno una svolta decisamente politica. Inoltre, il commento su invito politicizzato non informa che almeno uno degli autori fa parte dei consulenti esperti di spicco che si oppongono ai tentativi degli stati di regolamentare gli interventi chirurgici di “affermazione di genere” sui minori. Un ruolo che di per sé pregiudica la possibilità che venga fornito un commento equilibrato.
C’è un problema di fondo nella ricerca che emerge dalle strutture cliniche di genere. Gli stessi medici che forniscono trattamenti per la transizione di genere ai singoli pazienti nei loro ambulatori, sono anche i principali ricercatori e depositari dei dati utilizzati nella ricerca che alimenta le policy per la salute della popolazione; e, sempre più spesso, forniscono testimonianze testimonianza specializzate a pagamento nei tribunali, in difesa dell’accesso senza limitazioni a interventi ormonali e chirurgici per i minori.
Di conseguenza, questi medici non possono formulare opinioni equilibrate. Poiché qualsiasi dichiarazione calibrata potrà essere usata contro di loro in un tribunale, quando prestano servizio come testimoni esperti, devono ricorrere al minimo comune denominatore dell’approccio antagonistico del “c’è un solo vincitore”. Un approccio che non prevede sfumature e che purtroppo contribuisce al deterioramento della qualità degli studi pubblicati nell’ambito della medicina di genere, e determinare una diminuzione della fiducia nell’integrità del processo scientifico.
Uso improprio delle riviste scientifiche per promuovere articoli politicizzati travestiti presentati come ricerca scientifica
Il fatto che prestigiose riviste mediche ora si prestino a promuovere ricerche fallaci e con fini politici, che mirano ad accordare una cortina di fiducia mal riposta in trattamenti altamente invasivi e irreversibili, dovrebbe destare preoccupazione in chiunque si impegni a sostenere una medicina basata sull’evidenza e per l’integrità della scienza. Inoltre, ciò compromette la nostra capacità di valutare accuratamente e migliorare i dati a lungo termine sulla salute di un numero in rapida crescita di giovani con diversità di genere e disforia di genere.
Questa non è la prima volta che un JAMA (Journal of the American Medical Association) è stato utilizzato come strumento per far passare la promozione delle cure “di affermazione di genere” come ricerca scientifica. Nel 2022, JAMA Pediatrics ha pubblicato uno studio che studiava la soddisfazione corporea in un gruppo di soggetti di età compresa tra i 14 e i 24 anni a tre mesi dalla mastectomia di mascolinizzazione toracica. Nonostante il ridottissimo periodo di follow-up e un tasso di abbandono del 13%, gli autori sostenevano che i loro risultati supportassero la tesi per cui non c’erano prove a suggerire che la giovane età motivi il posticipo dell’intervento chirurgico. Avevano anche affermato che la loro ricerca avrebbe contribuito a dissipare l’idea errata che tali interventi chirurgici siano sperimentali. L’editoriale commissionato per rafforzare le affermazioni degli autori era descrittivamente intitolato “Chirurgia al petto (top surgery) negli adolescenti e nei giovani adulti: efficace e necessaria dal punto di vista medico“.
Un’altra tendenza allarmante è l’uso improprio di strumenti statistici per riformulare i risultati della ricerca che contrastano con la posizione dell’autore. Ad esempio, uno studio ben noto, che ha affermato che l’accesso ai bloccanti della pubertà ridurrebbe il rischio di suicidio, ha ignorato il fatto che gli individui che facevano uso di bloccanti della pubertà riportavano il doppio dei tentativi di suicidio (seri e recenti) rispetto ai coetanei che non usavano i bloccanti della pubertà. Analogamente al caso di cui sopra, il numero doppio di tentativi di suicidio non era statisticamente significativo a causa delle piccole dimensioni del campione, e tuttavia la portata del fenomeno era eclatante e avrebbe dovuto quindi ridimensionare la conclusione entusiasta degli autori, secondo la quale i bloccanti della pubertà prevengono i suicidi. Un altro recente studio di una clinica di genere, ampiamente e favorevolmente ripreso dai principali media, ha affermato che i bloccanti della pubertà e gli ormoni cross-sex hanno portato a un abbattimento del tasso di depressione, nonostante sia dimostrabile che il tasso di depressione tra i giovani che assumono tali farmaci sia rimasto invariato. Maggiori informazioni sui difetti della ricerca proveniente dalle cliniche di genere sono riportati in questa recente analisi.
La posizione della medicina di genere riguardo alla chirurgia pediatrica
In generale, il settore della medicina di genere si trova in un insolito stato di conflittualità interiore sulla posizione che riguarda gli interventi chirurgici di “affermazione del genere” sui minori. Da un lato, è ormai comune, tra i sostenitori dell'”affermazione di genere” nei minori, insistere sul fatto che gli interventi chirurgici sui minori non vengono eseguiti e che chiunque suggerisca il contrario stia seminando “disinformazione scientifica” e “negazionismo scientifico“. D’altro canto, i medici di genere pubblicano i risultati delle mastectomie sui minori nelle principali riviste mediche, celebrando gli interventi chirurgici per i minori come “efficaci e necessari dal punto di vista medico“. Non è raro che queste affermazioni discordanti vengano dal medesimo gruppo di ricercatori e medici, che sperimentano diverse argomentazioni, alla ricerca dell’angolazione più adatta a convincere giudici e giurie – e l’opinione pubblica in generale – che il riesame della procedura per le transizioni pediatriche, che si sta verificando diffusamente nei paesi europei, non sia giustificato negli Stati Uniti.
Si noti che nessuno dei paesi europei che stanno adottando severe restrizioni sull’uso dei bloccanti della pubertà o ormoni cross-sex nei minori ha mai permesso interventi chirurgici per i giovani sotto i 18 anni. Il fatto che i professionisti dell’affermazione di genere statunitensi continuino ad opporsi alla regolamentazione di queste procedure invasive la dice lunga su quanto l’assistenza sanitaria statunitense si sia spinta oltre in tema di “affermazione di genere” dei minori.
Pensieri finali
Sebbene sia difficile determinare il modo migliore per attenuare la natura fortemente politicizzata del dibattito sulla medicina di genere, i redattori di riviste scientifiche devono iniziare a ristabilire un equilibrio, ammettendo quanto in questo campo ci si sia allontanati dagli standard qualitativi della ricerca scientifica, e iniziando ad ampliare la loro cerchia di revisori a soggetti con opinioni diverse. Invitare quanti nutrono preoccupazioni sulla situazione della medicina di genere (e non solo i promotori delle cliniche) nel processo di peer-review e commento è il primo grande passo verso il miglioramento della qualità della ricerca pubblicata nel campo della medicina di genere.