Transizione di genere: non abbiamo dati precisi sui tassi di pentimento e le detransizioni
I problemi metodologici che pregiudicano l’affidabilità degli studi che sostengono il “basso rimpianto della transizione”
Pubblichiamo una nostra traduzione di un articolo di SEGM dell’11 settembre 2023
Come tutti gli interventi medici, gli interventi di “affermazione del genere” sono caratterizzati da una serie di effetti sulla salute fisica e mentale, che possono essere positivi o negativi. Tra i risultati negativi, ci sono il rimpianto e la detransizione. I sostenitori della transizione di genere giovanile affermano che i tassi di pentimento e di detransizione sono molto bassi. Affermazioni simili sono spesso riportate nei procedimenti legali , nelle riviste mediche e persino nelle raccomandazioni terapeutiche. Un recente articolo di Cohn, “The Rate of Detransition is Unknown” (Il tasso di detransizione non è noto) analizza i principali limiti degli studi sul “rimpianto” e dimostra che i tassi di sospensione della terapia ormonale, di detransizione e rimpianto non sono affatto noti. È importante che i medici, i legislatori e coloro che prendono in considerazione gli interventi medici siano a conoscenza del fatto che i “bassi tassi di rimpianto” spesso citati si basano su prove viziate.
La detransizione e il pentimento hanno diverse manifestazioni. In alcuni casi le persone accettano la transizione, della quale in definitiva si sono pentiti, come parte del “viaggio di genere” che sentivano inevitabile per loro. Ci sono invece persone che esprimono apertamente un rimorso devastante. Come ha affermato un detransitioner, “Alcuni di noi non potranno mai avere figli, e molti di noi vivono ogni giorno con grande angoscia e rimpianto”. In un recente sondaggio a campione, due terzi dei soggetti che stanno effettuando la detransizione hanno affermato che non si sarebbero sottoposti ad un intervento medico se avessero avuto le informazioni che hanno ora. Per questi individui, gli interventi medici e chirurgici di “affermazione del genere” hanno comportato un danno iatrogeno.
Gli studi che sostengono che il tasso di pentimento sia ridotto in genere soffrono delle seguenti limitazioni metodologiche, che rendono le conclusioni di “rimorso molto basso” a elevato rischio di bias (errori sistematici):
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Follow-up inadeguato. Mentre alcuni individui riferiscono di essersi pentiti poco dopo l’inizio del trattamento (come nel caso del rimorso post-chirurgico), è molto più frequente che il pentimento insorga dopo molto tempo. Il tempo medio per il rimpianto post intervento chirurgico è stimato intorno agli 8 anni. Tempi medi per la detransizione leggermente più brevi (3 – 6 anni) sono stati riportati nei gruppi sottoposti a un mix di interventi (inclusi bloccanti della pubertà, ormoni e/o interventi chirurgici). Considerando che la transizione è un processo destinato a durare tutta la vita, è un dato importante da considerare.
L’altro lato della medaglia della sottostima dei risvolti psicosociali negativi di rimpianto e detransizione, motivata da un follow-up troppo breve, è la sovrastima dei risultati psicologici positivi, come la riduzione di depressione, ansia e suicidalità. La transizione può essere accompagnata da un “periodo di luna di miele”, con un aumento – rispetto al livello di partenza -della qualità della vita e della soddisfazione a 1 anno dalla transizione, che poi però iniziano ad abbassarsi a 3 anni dalla transizione e diminuiscono drasticamente a distanza di 5 anni. Per questo motivo è allarmante che gli studi che esaltano i benefici della transizione giovanile si concentrino sovente sugli effetti a soli 3 mesi dal trattamento, e molto raramente arrivino oltre i 5 anni. Anche nei casi in cui il follow-up è più lungo, gli studi sul pentimento sono inficiati dagli altri importanti limiti metodologici descritti di seguito.
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Alti tassi di mancato follow-up. Una limitazione comune degli studi sul rimpianto è quella di considerare solo gli individui che sono disposte a prendere parte alle ricerche di follow-up. Se da un lato è possibile che gli abbandoni avvengano in modo casuale per via dell’attrizione (le persone si trasferiscono, vanno avanti con la loro vita o semplicemente gli sfugge l’invito a partecipare al follow-up), altre volte gli abbandoni non sono affatto casuali e producono un campione altamente distorto. Ad esempio, uno degli studi più citati a sostegno del “basso tasso di pentimento” ha omesso tutti coloro che hanno smesso di frequentare la clinica di genere – una percentuale notevolmente elevata pari al 36%. Non si sa quanti di questi individui si siano procurati gli ormoni altrove e quanti abbiano invece deciso di sospendere l’assunzione degli ormoni per l’“affermazione del genere”.
Un’altra tipologia di abbandoni non casuali, che possono indurre a sottostimare la detransizione e il pentimento, può derivare da coloro che si sentono danneggiati dal trattamento e che non se la sentono quindi di prendere parte al follow-up. Uno studio ha dimostrato che meno di un quarto dei pazienti che hanno effettuato la detransizione sono tornati dai propri medici per informarli della loro decisione.
Sebbene non esista un valore limite del tasso di abbandono, oltre il quale uno studio è considerato gravemente distorto, i metodologi determinano il rischio di distorsione calcolando la significatività del discostamento dei risultati nel caso gli individui mancanti avessero partecipato riportando esiti diversi dai partecipanti del follow-up. Spesso si assume che una perdita al follow-up inferiore al 5% non pregiudichi eccessivamente i risultati, soprattutto quando l’efficacia del trattamento sui partecipanti è rilevante. Per contro, tassi di abbandono del 15%-20% determinano a una qualità “scadente” e possono rappresentare “una seria minaccia” alla validità dei risultati, soprattutto quando l’efficacia del trattamento è scarsa.
Nonostante diversi studi riportino bassi tassi di pentimento, questi stessi studi solitamente perdono il 20%-60% del gruppo originale al follow-up, conferendo ai risultati un elevato rischio di distorsione. Il motivo è che i pazienti che ancora frequentano la clinica di genere e quelli soddisfatti della loro transizione sono presumibilmente più disposti a partecipare ai follow-up.
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Imprecisione nella misurazione della detransizione e del pentimento. I ricercatori diligenti che si rendono conto dell’importanza di monitorare tutti i casi presi inizialmente in considerazione, ma che non hanno la possibilità reperire molti degli individui appartenenti al gruppo originale, ricorrono ad altri metodi per stimare la detransizione e il pentimento. Purtroppo, le misure approssimative che utilizzano, come l’analisi delle pratiche cliniche o legali alla ricerca di segnali di detransizione, verosimilmente distorcono in modo sistematico i risultati , portando alla sottostima della detransizione e del pentimento.
Si consideri, al proposito, uno studio piuttosto noto che stimava tassi di rimpianto bassissimi attraverso la disamina delle cartelle cliniche alla ricerca di menzioni di rimpianto e inversione degli ormoni, o altri studi che, con l’utilizzo di metodologie analogamente deboli, ottengono un basso tasso di pentimento per l’intervento chirurgico. Nei casi in cui le cartelle cliniche non riportino che il paziente si è pentito del trattamento, i ricercatori presumono che il paziente sia soddisfatto. La teoria del “niente nuove, buone nuove” è inadeguata per indagare sulla detransizione e il rimpianto, in quanto – come osservato in precedenza – è improbabile che chi effettua la detransizione ritorni dai medici che lo hanno curato per riferire le proprie riserve, quindi è verosimile che “niente nuove” sia il presagio di brutte notizie.
Un’altra metodologia comune, e problematica, per identificare i casi di detransizione e pentimento utilizza la verifica di un eventuale cambio di nome legale. Ridurre la complessa esperienza del pentimento a un’azione di tipo binario, quale è la richiesta di cambio del nome o del sesso sui documenti, comporta i problemi già discussi in un altro studio recente .
Dovrebbe esistere una “gerarchia di intensità del rimorso” correlata alle condizioni in cui i pazienti effettivamente si ritrovano. Il suicidio post-transizione e i tentativi di suicidio rappresentano la forma più estrema di pentimento. Anche le persone che si sottopongono a detransizione medica nel tentativo di riportare il corpo allo stato pre-transizione sono in cima in questa classifica. Più in basso si trovano gli individui che rimpiangono la transizione, ma che, vista l’irreversibilità dei cambiamenti fisici anatomici e funzionali operati dalla transizione medica, scelgono di adattarsi per vivere al meglio la loro vita, senza ricorrere a una detransizione. Pentimento e accettazione possono coesistere.
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Affidamento su campioni distorti o con scarsa generalizzabilità. La narrativa del “basso rimorso” deriva da studi datati, che si basavano sulla ricerca di modifiche dei documenti legali per individuare chi avesse effettuato la detransizione. Tuttavia, questi risultati non recenti, accuratamente controllati, non si possono estendere alla nuova coorte di giovani con disforia di genere, che presentano molteplici comorbilità di salute mentale e affrontano la transizione di genere sulla base del modello di cura del “consenso informato”, che non richiede valutazioni psicologiche.
Campionamenti più recenti sulla detransizione, che dovrebbero poter essere applicati alle attuali presentazioni cliniche, spesso soffrono di problemi metodologici, che espongono i risultati ad un elevato rischio di distorsione. Ad esempio, il campione di uno studio ben pubblicizzato, che concludeva che la maggior parte di chi effettua la detransizione non è pentita della transizione, paradossalmente includeva solo detransitioner che continuavano a identificarsi come transgender. Questo dettaglio non era menzionato nello studio pubblicato.
Il fatto che i detransitioner che si erano riallineati con il loro sesso biologico fossero stati esclusi dallo studio emerge dalla lettura delle diverse centinaia di pagine che descrivono la metodologia di indagine sulla quale lo studio si è basato. La posizione degli individui che continuano a identificarsi come transgender, ma che hanno effettuato la detransizione (a causa di complicazioni mediche o pressioni esterne), è probabilmente molto diversa da quella di chi ha effettuato la detransizione per non identificarsi più come transgender.
Cohn evidenzia come molti degli studi su detransizione e pentimento comunemente citati soffrano di uno o più dei suddetti limiti. Inoltre, Cohn illustra come tutti gli studi che misurano i tassi di pentimento chirurgico, inclusi in una recente revisione sistematica e meta-analisi dei tassi di pentimento chirurgico, soffrano di un tempo di follow-up insufficiente e/o di tassi di abbandono elevati. Sebbene su questo studio pesino anche altre delle precedenti critiche e problematiche, esso continua a essere citato di frequente come dimostrazione del basso tasso di rimpianto della chirurgia di transizione.
Cohn conclude che è fondamentale, per chi valuta di sottoporsi all’intervento medico, sapere che le probabilità di pentimento, detransizione e interruzione non sono note, e che il rimorso e la detransizione possono rivelarsi traumatici. Cohn sottolinea la necessità di un intervento urgente, evidenziando il rapido aumento dei giovani che si sottopongono alla transizione di genere: solo negli Stati Uniti, dal 2017 al 2021 più di 17.000 minori, di età compresa tra 6 e 17 anni, hanno iniziato a usare bloccanti della pubertà o ormoni, e, nella fascia di età 13-17 anni, dal 2019 al 2021 sono stati effettuati almeno 56 interventi chirurgici ai genitali e 776 doppie mastectomie.
Cohn esorta a migliorare la metodologia per studiare i tassi di detransizione e di pentimento, e raccomanda la diffusione di informazioni accurate sul deficit di conoscenza riguardo alla detransizione e al rimpianto, in modo che i giovani pazienti e le loro famiglie siano in grado di prendere decisioni informate sui trattamenti, senza cadere vittime di false garanzie per via della narrativa ingannevole del “basso pentimento”.
SEGM Take-away
Se gli esiti negativi sulla salute fisica sono sempre più oggetto di esame (compresi gli effetti avversi sulla salute ossea e cardiovascolare, le disfunzioni sessuali e l’infertilità/sterilità), meno attenzione è stata data agli esiti psicologici negativi. Sebbene i sostenitori della transizione giovanile affermino che la detransizione non dovrebbe essere considerata come la manifestazione di una transizione fallita, è difficile difendere questa argomentazione. Ormoni e chirurgia modificano irreversibilmente il corpo e alcune delle funzioni più importanti. E poiché la transizione di genere è un processo che si protrae a vita, necessario per mantenere un aspetto mascolinizzato o femminilizzato, i casi di detransizione medica – che sono già attivati al 30% entro soli 4 anni dall’inizio del trattamento – rappresentano il campanello d’allarme di un numero elevato di transizioni inefficaci.
L’opinione dei medici affermativi, secondo cui il rimpianto è estremamente raro, si basa su studi che soffrono di significative limitazioni metodologiche, che distorcono pesantemente le indagini conducendo alla sottostima della detransizione e del rimpianto. Uno studio recente, che riferisce una riduzione significativa della depressione e della suicidalità in seguito alla somministrazione di testosterone a femmine con disforia di genere, è un caso emblematico: il follow-up è avvenuto a soli 3 mesi (ben prima che potessero manifestarsi gli effetti, positivi o negativi, del testosterone).
È stato riscontrato un possibile “periodo di luna di miele” in seguito all’inizio del trattamento. I miglioramenti a breve termine dell’umore non possono valere come prova concreta del fatto che gli interventi medici e chirurgici – fortemente invasivi – necessari alla transizione di genere garantiranno l’assenza di rimpianti e una buona qualità della vita. Gli studi che non hanno un follow-up di lungo periodo dovrebbero dichiarare esplicitamente che non sono in grado di determinare i tassi reali di pentimento.
Finché non avremo dati affidabili sul pentimento (che richiederanno anni per essere raccolti, visto che l’aumento delle transizioni di genere nei giovani è recente), i pazienti, le famiglie, i medici, i politici e il pubblico in generale deve essere a conoscenza del fatto che i tassi di rimpianto e detransizione sono sconosciuti e che le prove attualmente a disposizione non provano affatto la marginalità di questi tassi.
Nota: un elenco più ampio di studi sui tassi di rimpianto, con tempi o percentuali di follow-up insufficienti, è disponibile qui .