Sentirsi un impostore – prima, durante e dopo la transizione
Pubblichiamo la traduzione di un articolo di Eliza Mondegreen, pubblicato sul sito Genspect.org il 19 gennaio 2024
Poiché parte della mia ricerca si concentra sull’esperienza di sentirsi un impostore, spesso mi si presenta la questione del “passare” (dall’inglese passing: riuscire a sembrare del sesso opposto) come membro del sesso opposto. Il costante autocontrollo, l’angoscia di non passare, il mix di eccitazione e brivido nel riuscirci.
L’altro giorno però, sul canale Subreddit r/actual_detrans, mi sono imbattuta in un uso interessante del termine da parte di una giovane donna che si è identificata prima come transmasc, poi come nonbinary, e che ha assunto testosterone.
“Mi preoccupa il non essere abbastanza carina per essere donna: sono sempre stata cicciottella e credo che gran parte della mia disforia e del mio desiderio di essere mascolina sia dovuto al fatto che non pensavo di poter passare come persona sufficientemente femminile, a causa del mio essere troppo in carne.
Qui troviamo il termine passare applicato non solo al “passare” come membro del sesso opposto, ma anche “passare” come membro “accettabile” del proprio sesso. Il parallelismo tra questi due tipi di “passing” è interessante perché mette in luce il modo in cui la femminilità viene percepita da molte ragazze come una performance o un atteggiamento.
Per molte ragazze, “passare” come membro accettabile della propria categoria equivale ad essere abbastanza magre, abbastanza belle e abbastanza femminili. Il livello di femminilità “accettabile” è pericolosamente alto, e l’associare la femminilità all’essere donna spinge le ragazze alla transizione.
Mi ricordo ancora quelle ragazze che non andavano mai bene, perseguitate dai compagni in ogni caso, sia che si impegnassero, sia che non lo facessero. Se non eri considerata bella, i tentativi di farti bella venivano considerati ridicoli (“Perché affannarsi?”). Ma non potevi nemmeno rinunciare (“Wow, quella tizia ha perso ogni speranza”). Non c’era modo di insistere su altri parametri. O si “passava” o si falliva, secondo uno standard misterioso e mutevole.
Era prima dei social media, dei filtri e dei filler. E non c’era la via di fuga dell’identificazione trans. Ora la pressione è salita e si è aperta una valvola per poter sfiatare. Le giovani che lottano con le aspettative assurde e spesso contraddittorie che le ragazze e le donne subiscono – e con la pressione dei pari e il bullismo che viene riservato alle femmine che non riescono a conformarsi o si ribellano a queste aspettative – ora possono scegliere di ritirarsi.
In risposta a questo post che parlava del non sentirsi “abbastanza belle per essere femminili”, una donna che ha effettuato la detransizione ha scritto:
La mia situazione non è identica alla tua (io mi pento di ogni passo della mia transizione), ma penso di sentirmi in modo simile? Di sicuro mi ritrovo nel non sentirmi femminile o carina per via del mio corpo, e (non voglio proiettare questo su di te, ma a livello mio personale) per molto tempo mi sono nascosta dietro la mia presentazione “maschile”, perché su questa decisione potevo avere un controllo, mentre non potevo averlo sul fatto di non soddisfare le aspettative del mio sesso biologico.
La transizione è un modo per dire: non guardarmi così. Non pensare a me in quel modo. Non giudicarmi in base a quello standard. Se devo essere giudicata, lasciatemi scegliere su cosa esserlo. Se devo essere scartata, lasciatemi scegliere la modalità.
In definitiva, la transizione è una forma di rifiuto di sé, ma soprattutto è un modo per declinare le richieste del mondo esterno, un modo per dire no.
Viene fuori che ci sono molti casi in cui ci si sente impostori: prima, durante e dopo la transizione e la detransizione.
Ci sono donne che raccontano di essersi sentite “impostori” come donne prima della transizione e/o dopo la detransizione, e altre che raccontano di essersi sentite “impostori” come persone trans (con la preoccupazione di non essere “abbastanza trans” o di “fingere”) o “impostori” come uomini (“non sono un vero uomo”).
Un utente identificato come FTM (female-to-male) ha scritto:
Ma mi sono sempre sentita fuori posto e sbagliata anche in mezzo alle ragazze, a essere considerata una di loro. Venivo evitata, perché quelle ragazze non mi ritenevano abbastanza femminile.
Durante la terapia, tornare indietro e parlare del me stesso di un tempo come di un bambino e non una bambina è stata una parte importante della mia guarigione, e una spiegazione importante del perché mi sentivo così male e fuori posto. Definirlo bambino è stato un grande passo per me.
Ho avuto una lunga fase in cui ho cercato di essere una vera donna. Abiti, capelli lunghi, provavo a truccarmi. Era una bugia. Non riuscivo a guardarmi allo specchio e non ero nemmeno sicura del perché, ma odiavo quella persona perché era falsa. Non ero mai io.
“Non mi sento una ragazza, non l’ho mai fatto, ho solo esagerato per adattarmi al ruolo nell’aspetto, ma non mi sento nemmeno un ragazzo, solo un falso”, ha scritto un’altra persona.
E un’altra ancora:
Nonostante mi sforzassi di integrare l’identità di genere di “donna”, mi sentivo un impostore. Questo rendeva molto difficili i rapporti con le persone, perché mi sembrava di non riuscire a stabilire un legame autentico. Ora mi sento un falso uomo, vedo in me la donna che costringe gli altri a chiamarla “lui”, mi accorgo di questo corpo femminile che funziona e appare in un certo modo. “Uomo”, nella mia testa, rimane sinonimo di “maschio”, il corpo “opposto” molto diverso, il “maschio assegnato alla nascita”. A livello intellettuale, sto cercando di scardinare questa idea, e ho incontrato molte persone trans che hanno una vibrazione tale da farmi percepire che appartengono senza dubbio al loro genere. Ma non vale per me che sembro femmina. Detesto non riuscire ad affermare sempre la mia identità di genere. Era molto più facile vivere come donna, ma pensando nella mia testa “non sono veramente donna, sono camuffata”. La sensazione di essere un impostore può non svanire mai.
Per molte ragazze cresciute nella versione Tumblr della teoria queer, sia l’essere “maschio” sia l’essere “femmina” viene percepito come una performance e auto-falsificazione . Perché dunque non scegliere l’aspetto che più vi piace? Perché non fare un inventario delle le vostre caratteristiche e dei tratti di personalità e vedere dove vi collocate?
Il corpo va a farsi una passeggiata. Cosa c’entra il corpo con tutto questo? È una tela da dipingere, un’argilla da modellare, un software da aggiornare, un avatar da personalizzare, mica un insieme di elementi concreti a cui adattarsi. Un’altra giovane donna trans-identificata ha scritto: “Trovo strano che una frequente argomentazione contro la transizione sia: E se in futuro ti pentissi?”,
Pensate un attimo a cosa significherebbe. Significherebbe che il tuo corpo ha sviluppato caratteristiche sessuali secondarie di cui non sei soddisfatta, procurandoti angoscia e facendoti spendere migliaia di dollari per cercare di invertire la tendenza. Oh no, che destino orribile! Non è che NON fare la transizione possa causare la stessa identica cosa. Questa argomentazione sfrutta la grave sofferenza per disforia che uno potrebbe ritrovarsi a provare come motivo per cui non si dovrebbe fare la transizione???? Ma se è proprio quella che sto cercando di evitare!
C’è una profonda mancanza di serietà nel modo in cui i membri delle comunità trans online parlano della transizione. Ho già usato questo paragone in passato, ma non me ne è venuto in mente uno migliore: la transizione viene vista come un banale progetto di ristrutturazione della casa, un qualcosa che può essere fatto e disfatto a piacimento, se si hanno tempo, denaro ed energie sufficienti. Non si ammette minimamente che il corpo umano non funziona così: che i nostri sistemi endocrini sono delicatissimi. Che la pubertà non ha un “pulsante di pausa” e che non sappiamo con esattezza cosa provochiamo quando asseriamo di mettere “in pausa” una fase dello sviluppo umano. Che gli interventi chirurgici non possono essere “annullati”, ma solo revisionati, e che ogni nuovo intervento incide la carne umana proprio come il primo. Che l’essere incarnati non è una scelta.
Ma – online – sembra che lo sia.