Le “evidenze scientifiche” alla base delle terapie affermative di genere – un nuovo articolo che fa chiarezza
Prendiamo spunto dall’articolo recentemente pubblicato dalla reporter investigativa Jennifer Block su TheBMJ riguardo le “evidenze scientifiche” a fondamento delle politiche affermative di genere, per fare una riflessione su tale approccio, adottato anche nei centri italiani, basato su linee guida che vengono date per comprovate e sicure per il trattamento della disforia di genere, anche in bambini e adolescenti.
Il fatto che le cure affermative siano basate sull’evidenza lo abbiamo sentito dire, con sorridente sufficienza, dai nostri ragazzi, e poi, con crescente stupore, da psicologi dei consultori pubblici, e dagli addetti ai servizi di salute di genere. Sull’idea che i percorsi di genere si fondino sull’esistenza di certezze scientifiche, si basa anche l’atteggiamento di neutralità proprio di molti insegnanti, e anche alcuni psicologi e psichiatri i quali, dichiarandosi non specialisti del settore, non si ritengono legittimati a formulare opinioni, o valutazioni professionali.
Come osserva Jennifer Block nell’articolo che vi proponiamo, la “certezza” che le cure mediche non siano controverse, e siano anzi supportate da una scienza rigorosa si basa, storicamente, su tre documenti:
- le Linee guida della World Professional Association for Transgender Health (WPATH), 8° edizione pubblicata il 15/09/2022
- le Linee guida della Endocrine Society pubblicate nel 2009 e aggiornate nel 2017
- la dichiarazione programmatica dall’AAP pubblicata nel 2018 (American Academy of Pediatrics)
Le conclusioni formulate dalle tre pubblicazioni negli Stati Uniti, a seguito della legittimazione attribuita, in ambito internazionale, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Nazioni Unite), e dall’Aifa, sono state raccolte all’interno dei vari ordinamenti, tra cui quello italiano.
Proprio tali pubblicazioni sono direttamente assoggettate a scrutinio dalla Block, che, nel mettere a tema la questione della effettiva evidenza di detti studi, propone due linee di riflessioni.
Innanzitutto, con rigore scientifico, la giornalista rintraccia, e presenta in modo organizzato, le incongruenze che gli stessi ricercatori del settore hanno rilevato riguardo alle fonti sopra indicate. Tale analisi, come si può leggere, presenta caratteri di un lavoro filologico che, dalla scrupolosa lettura dei testi in questione, mette in evidenza le incongruenze letterarie, e i passaggi precisi in cui gli stessi autori danno atto di profili di insufficienza di prove o sperimentazione.
Da un punto di vista sociologico, inoltre, dopo aver raccontato la genesi delle prassi affermative, la giornalista riferisce dei contesti in cui si è aperto un processo di revisione riguardo a dette certezze. E così, sul piano di ciò che avviene nelle società interne, viene raccontato il dialogo avviato da alcuni pediatri americani, dibattito che in certa misura ricorda il confronto aperto recentemente, in Italia, da una parte degli psicologi italiani. Sul piano delle politiche nazionali, poi, l’autrice descrive i cambiamenti di direzione recentemente registrati nel Regno unito, in Svezia, e perfino in Olanda, aprendo una prospettiva più ampia su ciò che accade in altri ordinamenti.
Tre riflessioni generali.
In primo luogo, se non tutti possono essere tenuti a conoscere, e magari verificare, le fonti alla base del pensiero main stream, alcuni soggetti hanno la precisa responsabilità di farlo, medici e insegnanti per cominciare.
Secondariamente, l’assunzione di tale responsabilità diventa condizione di legittimazione per le persone cui la società civile affida il ruolo di politici e amministratori. In proposito, il principio della trasparenza dovrebbe garantire la qualità delle verifiche alla base delle scelte normative, per non ritrovarsi a deliberare senza cognizione delle problematiche, come spesso accade nelle assemblee parlamentari (vedi Ley trans).
Allarma infine la leggerezza con cui si ricorre alla nozione di “evidenza scientifica”. L’era dell’informazione digitale non è abitata da troppi lettori-ricercatori, abituati ad analisi di tesi e controtesi. Ma se dall’esperienza professionale e personale non emerge la necessità di una verifica su questioni tanto delicate, sta accadendo qualcosa di preoccupante nel modo stesso di usare la nostra ragione.
In tali direzioni, l’articolo che proponiamo propone iniziali, e solide, tracce di lavoro.
La disforia di genere nei giovani è in aumento – e così anche il disaccordo professionale
BMJ 2023;380:p382 – Pubblicato il 23 febbraio 2023