La questione di genere come sotto(CULT)ura delle modifiche del corpo dei giovani
La traduzione del discorso di Eliza Mondegreen alla conferenza “The Bigger Picture” di Lisbona, pubblicato su Genspect.org il 24 ottobre 2024
Negli ultimi anni, ho trascorso molto tempo immersa nella letteratura sui culti e sulla persuasione coercitiva. Oggi vorrei riflettere su come molte di queste dinamiche si manifestino nelle sottoculture trans online. In particolare, voglio concentrarmi su tre concetti chiave della letteratura sui culti e la persuasione coercitiva: la ricerca di conoscenza da parte di chi “non sa”, le rotture radicali e la scelta vincolata.
I giovani che si ritrovano coinvolti in movimenti distruttivi e culti sono spesso dei “cercatori” e, come sottolinea Eileen Barker, la ricerca può assumere molte forme diverse. Alcune persone cercano un’illuminazione personale, un cambiamento politico rivoluzionario o un compimento spirituale. Ma ci sono anche persone che percepiscono un vuoto, pur senza sapere esattamente cosa manchi loro. Barker voleva scoprire cosa distinguesse chi si univa ai Moonies (seguaci della Chiesa dell’Unificazione di Sun Myung Moon) da coloro che restavano distanti o semplicemente entravano e uscivano dal culto. Ha quindi intervistato i giovani sui loro valori e obiettivi e su come cercavano di raggiungerli. Voleva scoprire cosa stessero cercando. Seguendo un’intuizione, ha aggiunto un’opzione che diceva: Qualcosa, ma non so cosa. “Con mio stupore,” racconta, “ho scoperto che era proprio questo l’ideale che, più di qualsiasi altro, permetteva di discriminare tra i Moonies, i non adepti e il gruppo di controllo…”. Backer perse il conto del numero di Moonies che “avevano aggiunto commenti entusiasti come “Sì!!” o di membri confusi del gruppo di controllo che avevano scritto “Cosa?”, “Non capisco,” o “Che domanda stupida” nel margine.”
I ragazzi che finiscono per approdare alla questione di genere inizialmente cercano di tutto, mescolando bisogni sani e adattivi con altri meno sani e disadattivi. Cercano un significato, una spiegazione per come si sentono, un senso di appartenenza, uno scopo, una causa, una direzione, un modo per distinguersi, per individuarsi, un riconoscimento per i cambiamenti che tutti noi attraversiamo crescendo, un modo per andare avanti quanto i percorsi più sani gli sono preclusi, la possibilità di esprimersi e di chiedere aiuto. Cercano anche un permesso, una scusa o un capro espiatorio per le difficoltà che incontrano, un modo per sfogarsi e, la cosa più triste, un modo per rifiutare sé stessi e i loro corpi, una via di fuga da sé. Molte persone che si identificano come trans sembrano avere paura di crescere, come se dubitassero della propria capacità di affrontare le responsabilità degli adulti. Per queste persone, il “trans” diventa un vicolo cieco o un bozzolo, un sostituto della crescita e del cambiamento autentici. Tutto questo insieme di motivazioni colloca molti di questi ragazzi saldamente nella categoria del “Ero in cerca di qualcosa, ma non sapevo cosa.”
Questi giovani sono particolarmente predisposti a quella che Saul Levine definisce una “rottura radicale”: un distacco netto e improvviso dalla vita che conducevano. E in termini di rotture radicali, il genere è un’opzione particolarmente attraente: offre una comunità di supporto, la possibilità di ribellarsi, l’opportunità di essere dalla parte giusta della storia, di unirsi all’avanguardia. O anche, come osserva Bret Alderman: “L’attuale ideologia di genere è un canale disastroso per il disagio adolescenziale. Autorizza al biasimo supremo: Mi è stato dato il corpo sbagliato! E autorizza alla ribellione definitiva: Cambierò questo corpo e ne otterrò uno nuovo!”
Quando i giovani esplorano il tema del genere, vengono indottrinati a un nuovo modo di percepire il genere che altera radicalmente le loro convinzioni su se stessi, il loro rapporto col proprio corpo (e verso le modificazioni estreme del corpo), e le loro relazioni con la famiglia e il mondo offline.
Il reclutamento assume molte forme. Alcuni giovani vengono indotti ad identificarsi come trans da predatori adulti; altri vengono a conoscenza delle identità trans in contesti scolastici che, nel nome dell’inclusione, stravolgono la loro concezione di base del sesso. Altri ancora vengono influenzati dai loro pari. Molti si auto-indottrinano online, dove viene detto loro che se stai mettendo in discussione il tuo genere, lo stai facendo per una sola regione ragione: sei trans.
Per descrivere propriamente una “epifania” trans si può parlare di una crisi esistenziale, una rivelazione che divide la vita in due. La transizione viene quindi concepita come un processo di dis-apprendimento e ri-apprendimento totale: tutto ciò che si pensava di sapere su sé stessi, tutto ciò che si pensava di sapere sull’umanità, tutto ciò che si pensava di sapere sulla propria famiglia (affettuosa e premurosa o repressiva e transfobica?), per non parlare dell’imparare come atteggiarsi e camminare in modo convincente, maschile o femminile, del capire quali gesti tradiscono e quali consolidano l’illusione che si tenta di creare.
Quando ci si dichiara trans, si ha quasi la sensazione di “rinascere”. Non a caso, in queste comunità è diffusa una forte infantilizzazione. Uomini sulla quarantina si dilettano a rivivere la loro “infanzia femminile”. Abbondano i peluche, gli anime e i cartoni animati, e ogni tipo di comportamento discutibile può essere imputato a una “seconda pubertà” che, ovviamente, non esiste. Questa infantilizzazione agevola il processo di riambientamento in credenze radicalmente nuove e in modi diversi di relazionarsi al mondo.
Spesso si parla dei bambini come di spugne che assorbono il mondo per la prima volta. Chiunque abbia trascorso del tempo con un bambino piccolo sa come essi possano illuminare di meraviglia eventi del tutto ordinari e come siano aperti al mondo che li circonda. Qui non c’è niente di simile.
Essere così aperti e poco definiti significa anche essere estremamente vulnerabili a manipolazioni e distorsioni. I culti e i movimenti che esercitano un grande controllo cercano spesso di indurre questa malleabilità infantile nei nuovi membri. Gli iniziati, per definizione, non sanno nulla. Spesso i culti affiancano i nuovi arrivati a membri esperti (di solito definiti “fratelli maggiori”), che offrono un misto di istruzione e sorveglianza. Anche le attività di reclutamento possono facilitare questo tipo di regressione, come facevano i Moonies durante i weekend di reclutamento, pieni di sketch infantili e canti.
La transizione viene presentata come una forma simbolica di morte e rinascita, completa di “deadnames” (nomi morti) e “rebirthdays” (giorni di rinascita). Ma in realtà va intesa come un programma completo di auto-rifiuto, che procede da un “disconoscimento” all’altro: il proprio nome, il proprio passato, la propria comprensione di sé, parti del proprio corpo, eventuali persone care che si oppongono, qualsiasi voce interiore che sollevi dubbi. Abbracciare una nuova identità e un nuovo insieme di convinzioni sul genere offre opportunità di apprendimento, crescita, appartenenza e padronanza di nuovi concetti, elementi che possono essere molto stimolanti per i giovani. Ma demolire la propria identità, le proprie convinzioni e i propri legami affettivi è doloroso e profondamente destabilizzante. I giovani che attraversano questo processo descrivono l’identificazione come trans e la decisione di fare la transizione con questi termini. Raccontano di come fossero “più funzionali, produttivi e ‘felici’” prima di rendersi conto di essere trans. Parlano di cuori che battono all’impazzata e pensieri ossessivi. La comunità trans li rassicura dicendo loro che è normale andare in pezzi.
Quando realizzano di essere trans, molti giovani si trovano paralizzati da dubbi e paure ossessive. È qui che interviene la comunità trans, famosa- o famigerata- per il suo supporto, pronta a celebrare ogni passo, anche il più insignificante; a convalidare ogni emozione, indipendentemente da quanto sia scollegata dalla realtà- anzi, più è scollegata dalla realtà, meglio è.
Uno degli effetti di questo “love bombing” è che le interazioni nel mondo reale iniziano a risultare fastidiose. Dove magari nessuno nota i cambiamenti che hai fatto. Forse nessuno ci tiene. Forse pensano che sia solo una fase o una manifestazione di disagio mentale. Le loro reazioni- o mancanza di reazioni-fanno sembrare irreale la tua trasformazione interiore. È facile cedere alla tentazione di rifugiarsi ancor più negli spazi online, dove non esistono domande difficili.
Questo emerge in modo curioso anche nella letteratura di ricerca sui giovani identificati come trans e il loro uso degli spazi online. Leggendo qua e là, si trovano numerosi ricercatori che osservano con stupore come l’uso di Internet sembri dannoso per tutti gli altri giovani, ma in qualche modo “protettivo”, addirittura salva-vita, per i ragazzi “trans”. Credo che questi ricercatori trascurino una spiegazione ovvia: probabilmente è rassicurante vivere in un mondo di fantasia online, e angosciante uscirne. Online, i giovani possono abitare realtà immersive come quelle descritte da Kathleen Stock in Material Girls. Offline, la vita è molto più complicata.
Allo stesso tempo, le comunità trans stabiliscono aspettative impossibili su come nel mondo reale gli amici, la famiglia e i coetanei- anche perfetti estranei- dovrebbero reagire alle tue rivelazioni sul genere. L’aspettativa è che tutti siano in grado di adattarsi senza difficoltà, se davvero tengono a te. Le espressioni di preoccupazione non sono accettabili.
Nel frattempo, le reclute vengono sensibilizzate a nuove fonti di disagio e minaccia. Credo che questo spieghi perché tanti giovani esprimano preoccupazione per il fatto che, dopo aver fatto coming out come trans, si sentano molto peggio. Sono costantemente informati su nuovi modi per sentirsi a disagio con il proprio corpo. In maniera ancora più insidiosa, vengono incoraggiati a credere di essere in serio pericolo. Steve Hassan definisce questo fenomeno come “indottrinamento fobico”: il processo con cui si instillano nei membri di gruppi ad alto controllo paure irrazionali che limitano il loro coinvolgimento con il mondo esterno e rendono difficile mettere in discussione o abbandonare il gruppo. Nelle comunità trans online, questo indottrinamento fobico assume molte forme, tra cui:
- Dire ai membri della comunità che chiunque mette in dubbio la loro identità o l’opportunità della transizione (anche se mosso da autentica cura e preoccupazione) non li accetta per “chi sono veramente” o “nega la loro esistenza”. Questo spinge i membri della comunità, soprattutto i giovani ingenui, a tagliare i ponti con amici e familiari che potrebbero mettere in discussione o contraddire la comunità trans, o potrebbero semplicemente non seguire i protocolli complessi e spesso bizzarri che le comunità trans portano i membri ad aspettarsi.
- Creare la falsa impressione di un’epidemia di omicidi trans o addirittura di un genocidio trans, e dire ai giovani che l’implementazione del Cass Report è un “omicidio sociale”. Questo rafforza i legami dei membri con la comunità (trans, ndr) e infonde una paura irrazionale del mondo esterno, e perfino dei più miti pediatri britannici.
- Queste comunità inoltre ingigantiscono il rischio di suicidio e presentano la transizione come l’unica alternativa ad esso per affrontare la disforia di genere. Ciò aumenta la disperazione che i giovani sentono per la necessità di transizione, soffoca le domande o i dubbi che potrebbero avere e li spinge a nascondere comorbidità e altri fattori complicanti ai terapeuti e gli operatori sanitari.
- Dire ai giovani che se non fanno coming out come trans e non effettuano la transizione, vivono nella negazione e nella menzogna, e che inevitabilmente si renderanno conto del loro errore e rimpiangeranno di aver rinviato la transizione.
- Diffamare e attaccare i detransitioners come traditori e minacce esistenziali per la comunità trans, mostrando così agli attuali membri della comunità trans esattamente cosa accadrà loro se faranno un passo fuori o, Dio non voglia, usciranno dalla comunità.
- Insegnare ai membri della comunità a soffocare le proprie domande e i propri dubbi etichettando l’incertezza sull’identità di genere e la transizione, o il disagio per le dinamiche della comunità, come manifestazioni di “transfobia internalizzata” che danneggiano non solo loro stessi, ma anche tutte le altre persone trans. Proprio così: i tuoi pensieri privati su se sei davvero trans o se la transizione è giusta per te feriscono altre persone trans. Torneremo su questo punto tra poco.
Il risultato è che i membri della comunità sono attanagliati da paure irrazionali (inclusa quella di dare ascolto ai propri pensieri). Vengono alienati dal mondo esterno attraverso strani protocolli e aspettative irragionevoli e sono costantemente in auto-controllo per evitare di contravvenire alla dottrina. L’esperienza (o la percezione) di persecuzione e rifiuto consolida il loro attaccamento al culto e rafforza la percezione del mondo esterno come ostile.
Per quanto possa sembrare perverso, c’è un lato “consolatorio” nell’indottrinamento fobico. Una donna che ha detransizionato ha osservato che le “mancano l’affermazione costante, l’approvazione, il senso di comunità, la sensazione di dover restare uniti perché l’”altra parte” ti vuole “morto”. Parte di me, da adolescente, si è immersa così profondamente in quelle comunità per un bisogno di ribellione e scopo. Come persona trans, ti viene detto che la tua intera esistenza è una lotta contro sistemi oppressivi, e per una ragazza adolescente senza un posto nel mondo questo è molto allettante”.
In ogni fase, l’attivismo trans sembra predisporre i giovani a essere rifiutati, riempiendoli di richieste impossibili e aspettative irrealistiche.
Alcuni giovani finiscono per prendere le distanze o allontanarsi completamente dalle loro famiglie. Nelle comunità trans online, l’allontanamento dai propri cari viene trattato con grande leggerezza. Spesso i giovani rivelano di avere un familiare titubante rispetto alla loro decisione di transizionare che è affettuoso, ma poco informato o ha bisogno di più tempo per metabolizzare questa nuova realtà. In quasi tutti i casi, i membri della comunità incoraggiano il giovane a tagliare i rapporti con chiunque non sostenga incondizionatamente la loro transizione.
Voglio essere molto chiara su questo punto: nessuna comunità sana, aperta e di supporto cerca di spaventare, controllare e isolare i suoi membri in questo modo. Questi sono i segni di un gruppo manipolatore che esercita un’influenza distruttiva sui suoi membri più vulnerabili. E non si ferma qui.
Un consiglio comune per i nuovi arrivati che nutrono dubbi è di “immaginare che non ci siano ostacoli a fare ciò che vogliono”. Questo consiglio può prendere la forma di bizzarri esperimenti mentali: se potessi premere un pulsante e trasformarti in una donna all’istante, senza che nessuno noti il cambiamento, lo faresti? Ovviamente, nulla di simile è realisticamente possibile. Qualsiasi sia la risposta, non dirà nulla sul tuo essere “veramente trans” o se la transizione- con le sue opzioni limitate, complicazioni mediche e difficoltà sociali- sia una scelta sensata.
Questi ambienti promuovono anche atteggiamenti estremamente disinvolti e superficiali riguardo a modifiche radicali del corpo. I membri parlano del desiderio di far funzionare il proprio corpo con “E” (estrogeni) invece che con “T” (testosterone). Si incoraggiano a vicenda: “Puoi semplicemente prendere ormoni! È giusto che tu faccia quel che vuoi col tuo corpo. Tanto i cambiamenti avvengono a prescindere.” Dal momento che il corpo cambierà naturalmente con l’invecchiamento, perché non avviare cambiamenti innaturali prendendo steroidi o con una doppia mastectomia? Come ha detto un utente: “Non penso ci sia nulla di male nell’essere un paziente medicalizzato a vita (a parte lo stigma basato sul nulla). La natura sbaglia”.
Se sei indeciso, fai il passo successivo. Fidati del processo. Arrenditi al processo. Per evitare rimpianti, segui i tuoi “obiettivi di incarnazione”: se non vuoi il seno e lo rimuovi, come potresti mai pentirtene, anche se poi ti rendi conto che non ti senti davvero transmaschile?
I dubbi vengono vengono affrontati con un misto di pietà, rieducazione, silenzio e ostilità. I membri confidano di aver avuto gli stessi dubbi e di averli superati, o di combattere ogni giorno contro di essi. Queste rassicurazioni rafforzano il senso di appartenenza al gruppo e rendono imbarazzante il persistere nell’esprimere pensieri, sentimenti e convinzioni inaccettabili sull’identità trans e la transizione. La transizione viene presentata come l’unica via d’uscita. Quando i giovani portano i propri dubbi nelle comunità trans online, i loro interlocutori spesso finiscono per intensificare il loro disagio, confinandoli in una gabbia che ha una sola uscita. Se un giovane rifiuta il suo “vero sé” respingendo l’identità trans, gli viene detto che il tormento che sta vivendo non cesserà mai.
Ad ogni fase, i tuoi dubbi ti vengono ritorti contro, usati come prova del fatto che hai problemi di autostima o che non sei sufficientemente “illuminato”, che hai una lunga strada da fare per superare i pregiudizi che hai interiorizzato, problematici e dannosi sia per te stesso che per gli altri membri della comunità trans, anche se si tratta solo di pensieri che coltivi in privato senza esprimerli ad alta voce.
Col tempo, la sorveglianza e la censura si spostano dall’esterno all’interno. Se è minaccioso pensare a qualcosa, se riflettere intensamente su una questione può generare pensieri dissonanti, smetterai di farlo. Impari a soffocare i pensieri scomodi con risposte ritualizzate, come “È la mia transfobia interiorizzata” o “Ecco di nuovo la mia sindrome dell’impostore”. La transfobia interiorizzata, in particolare, è vista come una forma di autolesionismo, persino come una sorta di malattia. Chi ne “soffre” viene incoraggiato a monitorare i propri pensieri per i sintomi di una ricomparsa della malattia.
Le comunità trans scoraggiano attivamente la fruizione di informazioni esterne, in particolare quando si tratta del delicato argomento della detransizione. “Molti contenuti sulla detransizione sono falsa propaganda creata appositamente per manipolare le persone che sono veramente trans e indurle a fare la detransizione. Dicono cose specificamente formulate per farti dubitare di te stesso”. Se hai dei dubbi, leggi più contenuti trans e passa più tempo con persone trans.
Penso che gran parte di ciò che viene definito disforia di genere sia solo dissonanza cognitiva: il doloroso divario tra fantasia e realtà. Ed è per questo che peggiora ad ogni passo che un giovane compie verso la transizione.
Lungo il percorso, le promesse infrante della transizione diventano opportunità per riaffermare e rafforzare la propria fede, anche quando questa viene messa alla prova. Ogni fase della transizione che non riesce a dare i risultati desiderati fornisce una dose di “disconferma”, che la comunità incoraggia a superare compiendo il passo successivo. È un atto di fede. Il reclutamento è fondamentale perché, se si riesce a convincere i nuovi arrivati ad adottare lo stesso sistema di credenze, si potrà dire a sé stessi che ci è davvero qualcosa in cui credere.
La natura contraddittoria e illogica di questa ideologia è sia un problema che una trappola. Non puoi mettere in discussione ciò che non comprendi.
Cercare di dare senso all’insensato è ciò che intrappola le persone in questa ideologia. Vedo tanti giovani che continuano a tentare di “risolvere” l’ideologia. Non riuscendo a trovare la quadra, e non riuscendo a confutare la possibilità che è stata instillata nelle loro menti, non riescono a passare oltre. Credo che questa sia una delle ragioni per cui l’ideologia “trans” intrappola così tanti giovani brillanti, che iniziano con l’intento di padroneggiare un nuovo sistema di idee e finiscono nelle sabbie mobili fino al collo.
I giovani in questa fase spesso si sentono disillusi, ma intrappolati. Spesso riconoscono come l’idea di essere trans abbia avvelenato le loro vite, così come il giovane che ha scritto che “l’unico risultato è stato farmi odiare ancora di più me stesso”. Ma sentono di essere andati troppo oltre per poter tornare indietro.
A ogni fase del reclutamento, dell’investimento emotivo e della disillusione, i giovani rimangono bloccati in una situazione che Janja Lalich definisce “scelta vincolata” (bounded choice). Eileen Barker ha descritto più o meno lo stesso fenomeno come una “coercizione a livello di significato”. Le comunità trans annullano la capacità di scegliere riducendo le opzioni e le informazioni disponibili. Per esempio, dicono ai membri che non esiste mai una ragione legittima per fare la detransizione: o non sei mai stato davvero trans oppure te la sei fatta sotto. O non hai avuto il giusto sostegno o stai negando la realtà. E non invece: hai cambiato idea o hai deciso di non voler vivere in quel modo. Questo modo di pensare è molto difficile da superare. Così rifletteva un ragazzo che ha messo in discussione la decisione di fare la transizione: “se ti viene detto che ‘evitare le persone e le comunità trans significa solo negare a te stesso di scoprire il tuo vero io’, quando penso di fermarmi, penso di essere in fase di negazione”.
Eppure molti giovani riescono a liberarsi e a trovare la via d’uscita. Capiscono che ciò che speravano di ottenere non è mai davvero raggiungibile. Decidono di fare pace con i propri corpi, piuttosto che continuare a combattere una guerra che non può essere vinta.
Ecco come l’ha spiegato un detransitioner che alla fine si è reso conto che “l’introspezione profonda non ti dice nulla. Puoi passare settimane a scavare nel tuo subconscio, girando e rigirando i pensieri per capire ‘che cosa significava?’, ‘cosa provavo davvero?’, ma è come inseguire un’ombra. Non c’è nulla lì! È come fissare l’oscurità finché non inizi ad avere allucinazioni: fa paura, ma questo non significa che sia reale”.
Non riesco a pensare ad una metafora migliore per descrivere ciò che provano le persone intrappolate nella questione del genere: “fissare l’oscurità finché non inizi ad avere allucinazioni”. Questo insieme di credenze sul sé è intrinsecamente angosciante. Se adotti questo sistema di credenze non potrai mai confutarlo. Non si può scavare nella propria mente per trovare una risposta definitiva: sì o no. Non si può arrivare a una risoluzione chiara. Perché è privo di senso, e l’unica cosa che puoi fare con il nonsenso è rifiutarlo, e se non riesci, andrai incontro a ogni genere di difficoltà.
Mi viene spesso chiesto se penso che la comunità trans sia un culto. Ho passato anni a sviluppare teorie su come le dinamiche tipiche del culto possano essere una caratteristica emergente degli spazi online, dove l’ideologia può prendere il posto di un leader, replicando le svolte arbitrarie che un leader solitamente usa per mantenere i seguaci allineati. Ma non è necessario essere d’accordo con me per riconoscere che una comunità trans sana, aperta e di supporto non dovrebbe aver nulla a che fare con quella attuale.
Una comunità trans sana sarebbe onesta riguardo ai rischi che le persone trans affrontano, anziché esagerare quei rischi per instillare paura. Incoraggerebbe la resilienza e l’autosufficienza nei giovani che si interrogano sul genere, invece di dire loro che chiunque non condivida la loro visione del mondo li odia o che l’esposizione a ‘misgendering’ o ‘dead-naming’ può portare al suicidio. Una comunità trans positiva e aperta accetterebbe che la transizione non funzioni per tutti e che ci siano motivi legittimi per fare la detransizione e lasciare la comunità. Non cercherebbe di allontanare i giovani dalle loro famiglie o dai loro amici che, pur avendo dei dubbi sulla transizione, desiderano sinceramente il meglio per loro. Una comunità trans sana, aperta e di supporto accoglierebbe la ricerca etica sugli esiti della transizione e sulle alternative- anziché fare di tutto per bloccare la ricerca- perché le persone trans meritano cure di alta qualità, non cure che si limitino a essere conformi all’ideologia. E incoraggerebbe i giovani a esplorare liberamente le loro domande e i loro dubbi- riconoscendo che la transizione è una cosa seria- senza il timore di essere biasimati o espulsi dal gruppo.
Quindi, non importa come lo chiamiamo, basta che ci rendiamo conto di cosa sia questo movimento.
Detto questo, voglio concludere con una nota positiva. Negli anni Sessanta e Settanta, frotte di giovani si sono allontanati per aderire a culti distruttivi o semplicemente bizzarri. In molti assunsero nuove identità, abbracciarono credenze rigide e interruppero i rapporti con i propri cari. Ma per la maggior parte di loro le nuove credenze e pratiche non durarono. Seguendo questi giovani nel tempo, Saul Levine osservò che essi trovavano il modo di riconnettersi con le domande e i dubbi che avevano “scacciato e rinnegato. Il fatto che i membri ora possano permettere al conflitto di svolgersi internamente, per così dire, indica che la struttura che deve contenere il conflitto si è rafforzata”.
In definitiva, concluse Levine, la maggior parte dei giovani è “in grado di usare i propri distacchi radicali al servizio della crescita personale”. Sebbene vorremmo che i giovani coinvolti nelle questioni di genere avessero trovato un percorso più sicuro e sano per sbloccarsi- e pur avendo la responsabilità di opporci a un sistema medico che collabora con un movimento distruttivo, invece di contrastarlo- nutriamo la speranza che anche questi giovani possano lasciarsi alle spalle queste convinzioni rigide e tornare a pensare liberamente, riconnettersi con i propri corpi e le proprie famiglie, e passare oltre.
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