La lotta col “brutto elefante”

Pubblichiamo la nostra traduzione di una testimonianza di PITT  del 27 ottobre 2023

Quella che segue è la lettera di presentazione di mio figlio per la domanda di ammissione al college. Quello che lui non ha detto è che il Brutto Elefante era il “gender”. La teoria queer è studiata per distruggere le famiglie. Il gender non lascia scampo.


Lo sbattere e il tintinnare di forchette e coltelli contro i piatti e il tavolo erano gli unici suoni che interrompevano un’altra silenziosa cena “in famiglia”. Sedevo accanto alla sedia vuota, dove di solito cenava mia sorella, alzando ogni tanto lo sguardo sui volti esausti e tristi dei miei genitori. Un anno fa, le cene erano diverse. Le conversazioni vivaci e la leggerezza che riempiva la nostra cucina erano un ricordo lontano. Ormai eravamo sempre in compagnia di un nuovo ospite indesiderato – il brutto elefante – la malattia mentale. Quella bestia si era impossessata di mia sorella e toglieva l’aria a tutta la famiglia.

Mia sorella minore soffriva di depressione e ansia. Ho imparato per esperienza che la depressione adolescenziale si manifesta spesso con esplosioni di rabbia, seguite da fiumi di lacrime. In famiglia nessuno era rimasto indenne. Mio papà, che era sempre stato un tipo simpatico, molto socievole e allegro, girava per casa con sguardo stravolto. La sua ironia e il suo sorriso sornione erano praticamente svaniti.

Per mia mamma fu anche peggio: dal momento che mia sorella si sfogava su di lei, doveva subire il peso degli attacchi verbali. Ascoltavo mia sorella che le diceva cose orribili e crudeli. Vedevo la mamma ritirarsi nella sua stanza a piangere.

Sentivo i singhiozzi di mia sorella attraverso le pareti, e i miei genitori che cercavano di confortarla. Ho visto mia sorella prendere una borsa e scappare di casa, minacciando di non tornare mai più. Quando i miei genitori, dopo averla cercata invano, tornarono a casa e si sedettero al tavolo della cucina – dove di solito giocavamo a ramino – con il volto tra le mani, io mi angosciai insieme a loro.

Non sapevo cosa fare per aiutarli. Inizialmente mi arrabbiavo con mia sorella perché trattava male i miei genitori. Mi resi conto però che la mia reazione non era utile, così decisi che era meglio diventare invisibile per un po’, non essere di peso, e cercare di dare qualche briciola di gioia ai miei genitori.

Diventai più indipendente e responsabile. Non chiedevo più aiuto ai miei genitori per i compiti. Imparai a essere più paziente con mia sorella, e l’aiutavo ad arrivare a scuola in orario. Iniziai a cucinarmi la cena e smisi di lamentarmi se il frigorifero era vuoto, e anzi mi offrivo di fare io la spesa. Iniziai a chiedere a mia mamma di accompagnarmi nelle passeggiate notturne col cane. Raccontavo storie stupide per distrarla dallo stress. Chiedevo a mio papà di uscire a pranzo o se gli andava di fare insieme il bagno nell’idromassaggio.

Cercavo di essere perfetto, o almeno di ridurre al minimo il tempo che dovevano dedicare a me. Presi l’abitudine di chiedere loro “com’è andata la giornata?”. In definitiva, cominciai a gestire da solo i miei impegni e a rendermi indipendente dai miei genitori. Dicevo “sì” a quasi tutto ciò che mi chiedevano, e poi lo facevo davvero, cosa che non era nel mio stile prima che l’elefante arrivasse.

Dopo un lungo periodo di lotta, finalmente la bestia se n’è andata, e mia sorella è tornata a sedersi al suo posto a tavola. Le cene sono tornate normali; ma questa battaglia mi ha cambiato in modo permanente. Ho smesso di dipendere dai miei genitori per ogni cosa, sono diventato un giovane adulto responsabile e ho aggiunto alla mia routine quotidiana del tempo a tu per tu con entrambi i miei genitori. Infatti ora devo scappare perché è il momento di portare a spasso il cane, e ho degli aneddoti sul mio lavoro che mia madre sarà certamente felice di ascoltare.

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