La desistenza di mia figlia – condivido la mia storia
La nostra traduzione della testimonianza di una mamma che il gruppo di genitori PITT (Genitori con verità scomode sul “trans”) ha pubblicato il 16 gennaio 2025.
Nel 2019 è morta mia madre. Era alcolizzata e fumatrice accanita. Le è stato diagnosticato un cancro ai polmoni a giugno e a settembre si è spenta. Non eravamo molto unite. Non riuscivo nemmeno ad abbracciarla o a trascorrere più di tre giorni all’anno con lei (le facevamo visita una volta all’anno). I miei genitori divorziarono quando avevo otto anni e, insieme a mio fratello, venni affidata a diversi parenti e trascorsi nove mesi in orfanotrofio. Mio padre si risposò e la mia matrigna era abusiva. Insomma, ho avuto diversi traumi nel mio passato.
Provavo risentimento nel dovermi prendere cura di mia madre che stava morendo. Era costretta a letto e la chemioterapia, la demenza, e immagino anche l’astinenza da alcol la rendevano cattiva e offensiva. Questa esperienza mi ha traumatizzato e ha riportato a galla molti ricordi dolorosi dell’infanzia. Poi sono arrivati i lockdown per il COVID: in marzo del 2020, solo sette mesi dopo la morte di mia madre, mi stavo appena riprendendo quando è arrivata una nuova crisi.
Sono sicura che questa storia sia familiare ai genitori di PITT. Mia figlia trascorreva molto tempo nella sua stanza, seguendo la scuola online. Cercammo di adattarci alla nostra nuova normalità, portando i bambini in gita, a trovare la famiglia e cenando insieme ogni sera. Pensavamo di fare un ottimo lavoro come genitori, date le circostanze. Portai mia figlia perfino agli Universal Studios, ma la sua ansia di essere in mezzo alla folla durante una pandemia le impediva di rilassarsi e divertirsi.
Tre mesi dopo, mia figlia mi informò che era “non-binary”, che voleva usare i pronomi maschili e che il suo nuovo nome era “Kai”. Era alla fine della prima media, esattamente l’età che avevo io quando ho subito molti dei traumi della mia vita. Incredibile come la storia si ripeta. La mia reazione fu di confusione e rabbia. Pensavo di averne già passate abbastanza. Ma lo faceva apposta? Mi sfogai rabbiosamente con mio marito, dicendo che lo faceva per attirare l’attenzione, che forse era una fase, che avremmo dovuto indirizzare la sua attenzione su altre cose, qualsiasi cosa tranne l’identità di genere. Ero molto frustrata all’idea che dovessimo affrontare un’altra crisi. Evitammo qualsiasi conversazione sul genere e ignorammo del tutto l’argomento.
La salute mentale di mia figlia peggiorava. Quando la scuola in presenza ricominciò, la trovavo rannicchiata nel suo letto al mattino che piangeva, o seduta sul letto con la coperta sopra la testa, incapace di dirmi cosa le succedeva. Arrivava a impiegare due ore per prepararsi per la scuola. Mi chiedevo se fosse stata vittima di bullismo o di aggressioni. La supplicavo di dirmi cosa stesse succedendo, ma non trovava le parole.
Iniziò a vedere una terapeuta specializzata in DBT (Terapia Dialettico Comportamentale) e sembrava funzionare a meraviglia. Non sapevo che mia figlia avesse parlato a lungo con lei di identità transgender. La sera prima della nostra ultima sessione familiare, questa terapeuta aiutò nostra figlia a “fare coming out” con noi. La terapeuta sembrava pensare che non fosse un grosso problema, mentre io pensavo solo: “non sta succedendo davvero”. Tutto in me urlava che questa non era davvero mia figlia, lei era la mia bambina e com’era possibile che altri adulti non lo capissero? Mia figlia era passata da non-binary a transgender grazie a una terapia superficiale. Mi sembrava davvero di essere finita in un mondo al contrario.
Ci rifiutammo di chiamarla con il suo nome da ragazzo trans e anche di usare i pronomi maschili. È allora che mi unii a un gruppo Facebook di genitori con figli nella stessa situazione della nostra. Attraverso questo gruppo, trovai molte risorse e capii che non ero sola. Scoprii che dovevo fidarmi della mia intuizione, che io conoscevo meglio mia figlia. Per un po’ mi ero persa, avevo perso il contatto con la mio istinto materno, dubitavo di me stessa. Imparai il significato della parola “gaslighting” (manipolazione psicologica maligna).
Quando mia figlia arrivò al liceo, la sua salute mentale ebbe un crollo. Non lo sapevo, ma stava sperimentando un’ansia paralizzante, pensieri ossessivi/intrusivi e depressione. Fu anche diagnosticata ADHD. La portammo da una seconda terapeuta (affermativa) e iniziò una terapia farmacologica con uno psichiatra (affermativo). Partecipò a un programma intensivo ambulatoriale (affermativo). Dovemmo ritirarla completamente dalla scuola. Si era chiusa emotivamente ed era ad alto rischio di suicidio.
Si identificava ancora come maschio trans. In una delle nostre sessioni di terapia venne fuori il tema “sicurezza”. Ci dissero che nostra figlia sarebbe stata meno propensa a suicidarsi se la famiglia avesse supportato la sua identità trans. Dopo tanta rabbia e risentimento nei confronti della scuola e del sistema sanitario psichiatrico, a malincuore accettai che le azioni di mia figlia erano fuori dal mio controllo e che avrebbe potuto finire per fare la transizione. Entrai in una grave depressione.
La nostra casa è circondata da altissimi abeti di Douglas e ricordo di aver pensato che, se uno di questi fosse caduto sulla casa e su di me, sarebbe stato un sollievo. A volte, mentre guidavo, mi chiedevo se non sarebbe stato meglio sterzare nel traffico in arrivo. Non volevo più essere viva. Non capivo come qualcosa di così sbagliato potesse essere appoggiato da altri adulti influenti nella vita di mia figlia. Ero in una tale crisi io stessa che dovetti prendere un antidepressivo solo per funzionare. Vedevo anche una terapeuta, poi un coach genitoriale. Lessi il libro “Hold On to Your Kids” e fu allora che iniziai a concentrarmi sulla mia relazione con mia figlia.
La sua salute mentale peggiorò così tanto che finì per ingerire una capsula di detersivo e trascorse otto giorni in un ospedale psichiatrico. Quando chiamammo l’ospedale per parlarle, chiedemmo di “Ollie” perché temevamo che, se non fossimo supportivi della sua identità trans, ci sarebbe stato impedito di vederla. Iniziai a rendermi conto che non potevo fare affidamento sui “professionisti” della salute mentale per riavere mia figlia. Dovevo farlo da sola.
In seguito, trascorrendo molto tempo a tu per tu, mia figlia mi disse che, dopo la morte della nonna, sembravo molto arrabbiata e sfogavo la mia rabbia su di lei. Penso che questo, insieme al nuovo gruppo di amici a scuola, tutti con diverse variazioni di genere, sia stato il catalizzatore della sua spirale discendente. Disse che la prima volta che mi aveva confessato di avere idee suicidarie ero rimasta paralizzata. Iniziò ad aprirsi con me su come i miei traumi e il mio stile genitoriale evitante l’avessero danneggiata. (Si identificava ancora come un ragazzo trans.)
Lavorando su me stessa, la mia relazione con mia figlia migliorò al punto che riuscivamo ad avere brevi conversazioni sul genere e riuscivo a fare domande senza reagire, almeno esteriormente. Stava ricominciando a fidarsi di me. Persino quando uscì con un altro “ragazzo trans”, mi limitai a fare domande senza criticare o reagire. Per me era contro-intuitivo, ma funzionò. Avevamo conversazioni di pensiero critico, non incentrate sul genere. Trascorrevo ogni momento della giornata pensando alle conversazioni che avremmo potuto avere, o a come avremmo passato del tempo insieme quel giorno, e a studiare le sue condizioni di salute mentale. Era estenuante, ma ne valeva la pena. I progressi erano dolorosamente lenti.
Dopo cinque lunghi anni, mia figlia sta desistendo. Sta abbracciando la sua femminilità. Sua sorella maggiore, che ha 10 anni più di lei, è stata un grande catalizzatore di questo cambiamento. È stata una meravigliosa influenza su mia figlia, così come mia cognata. Mi sono aperta con la famiglia e ho chiesto loro di aiutarmi con mia figlia. Non avrei potuto farcela da sola. Questa esperienza mi ha insegnato a fidarmi del mio istinto materno, a non lasciare che altri adulti mi scavalchino, e a essere la mamma a cui i miei figli possono rivolgersi per qualsiasi cosa, indipendentemente dal fatto che io non sia d’accordo con loro o che pensi che stiano agendo in modo ridicolo. Devo essere il loro luogo sicuro. So cos’è l’amore incondizionato e cosa significa veramente lottare per i propri figli.
Finalmente vedo mia figlia tornare ad essere sé stessa.