Il Dr. Dimaggio: “Sbagliato dare priorità all’approccio affermativo”

Ringraziamo il Dr. Dimaggio per il seguente contributo. 


Chi è Giancarlo Dimaggio

Psichiatra e psicoterapeuta. 
Socio didatta della Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva (SITCC). 
Editor in chief del Journal of Clinical Psychology: In-Session.
Senior associate editor del Journal of Psychotherapy Integration.
Associate editor di Psychology and Psychotherapy: Theory, Research and Practice.
Membro dell’editorial board del Journal of Personality Disorder e di Psychotherapy Research. 

Si occupa di clinica, ricerca e formazione in psicopatologia e psicoterapia con particolare attenzione ai disturbi di personalità.


Nell’aprile 2024 è stata pubblicata la versione finale della Cass Review, una revisione indipendente commissionata dal National Health Service del Regno Unito, la quale ha evidenziato diverse criticità collegate al ricorso al cosiddetto approccio affermativo nell’ambito dell’incongruenza o disforia di genere. L’analisi sostiene chiaramente che, ad oggi, non esistono prove sufficienti circa gli esiti a lungo termine dei trattamenti affermativi collegati alla modifica del genere natale e che gli interventi medici (inclusi i bloccanti della pubertà) e non-medici (come la transizione sociale) necessitano di ulteriori ricerche prima di essere validati. A tal fine, i trial sui bloccanti della pubertà dovrebbero essere inseriti in un programma di ricerca più ampio che prenda in considerazione anche gli esiti di trattamenti psicosociali e ormonali. La Cass Review raccomanda che i bloccanti della pubertà vengano utilizzati esclusivamente nell’ambito della ricerca sperimentale, data la presenza di rischi potenziali per lo sviluppo cognitivo e psicosessuale, nonché per la salute ossea a lungo termine. Tali rischi non sono stati adeguatamente studiati nell’attuale popolazione di giovanissimi che si identificano in misura sempre più numerosa come transgender

In alcuni paesi le linee guida affermative sono state inizialmente adottate con l’intento di ridurre il rischio di suicidio tra i minori con incongruenza di genere. In realtà tale rischio è stato ampiamente sovrastimato nella popolazione transgender, in quanto, pur essendo più alto rispetto alla popolazione generale, esso è comunque relativamente basso in termini assoluti. È invece altamente probabile che l’eccesso di suicidi tra i giovani con incongruenza di genere sia dovuto alla presenza di concomitanti comorbidità psicopatologiche, piuttosto che alla disforia di genere in sé. La narrazione del rischio suicidario è stata quindi marcatamente distorta, alimentando un’urgenza eccessiva nell’adozione di trattamenti come i bloccanti della pubertà, il che è incongruo come mostrerò più avanti. 

L’approccio affermativo ha imposto una priorità errata nei trattamenti. I professionisti, in particolare gli psicoterapeuti, sono stati indotti a focalizzarsi unicamente o prioritariamente sull’incongruenza di genere, trascurando altri aspetti psicopatologici cruciali. Ad esempio, nei minori con disforia di genere, i tassi di comorbidità psicologica sono molto alti. La depressione, l’ansia, i disturbi post-traumatici o dello spettro autistico e i comportamenti autolesivi sono frequenti, e un buon trattamento deve considerare prioritariamente tutte queste problematiche per decidere le corrette modalità di intervento. Imporre l’approccio affermativo come unica eventualità terapeutica impedisce al clinico di affrontare in modo adeguato e completo l’eventuale psicopatologia del minore. Non esistono prove che il trattamento farmacologico rappresenti l’approccio corretto per questi minori, né che la transizione di genere produca automaticamente dei miglioramenti nelle altre aree psicologiche.

Allo stesso modo non sussistono prove che il “minority stress” (stress dovuto alla discriminazione e marginalizzazione delle persone trans che) sia la causa principale della sofferenza psicologica. Questo, naturalmente senza negare che il minority stress sia un vero fattore di sofferenza.

Tornando al tema della priorità dei trattamenti, un aspetto importante da valutare riguarda l’efficacia dell’approccio affermativo nel ridurre il rischio suicidario.

Non ci sono prove che l’uso dei bloccanti della pubertà riduca il rischio di suicidio. Al contrario, il rischio rimane invariato durante le varie fasi della transizione.

E anche qualora fosse dimostrato un effetto positivo dei bloccanti della pubertà sul rischio suicidario, non sarebbe chiaro se il miglioramento dipenda direttamente dai farmaci o da altri fattori, come il supporto psicoterapeutico fornito, il mero trascorrere del tempo e la conseguente accresciuta maturità del paziente oppure l’effetto di avere un’équipe sanitaria appositamente dedicata al trattamento. Il paradosso è che in caso di rischio suicidario i curanti dovrebbero seguire delle linee guida per ridurlo. E si tratta di dare priorità a questo problema e concordare con i pazienti gli step per prevenirlo all’interno della terapia. Queste linee guida richiedono di intervenire sui fattori di rischio immediati, non su una supposta causa remota. 

Nel complesso, nei casi di incongruenza o disforia di genere occorre pertanto agire con estrema cautela e adottare un approccio terapeutico completo e personalizzato, che consideri tutte le eventuali comorbidità psicopatologiche e non si concentri esclusivamente sulla transizione di genere come unica soluzione.  

È quindi necessario dare priorità all’assistenza psicoterapeutica e psichiatrica, piuttosto che privilegiare approcci non validati dal punto di vista scientifico.

Quello suggerito dalle linee guida WPATH (World Professional Association for Transgender Health), che una recente revisione (Taylor et al., 2023) qualifica come di “bassa qualità”, ignora il principio di precauzione e non tiene in minimo conto il benessere olistico, presente e futuro, di bambini, adolescenti e giovani adulti, ai quali deve essere garantito il diritto a cure sanitarie adeguate, proporzionali e non esorbitanti.

Giancarlo Dimaggio

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