Identità di genere: come leggere le ricerche in ambito psicologico?
Pubblichiamo il contributo di uno psicologo che ha condiviso con noi un punto di vista molto utile per districarsi tra i vari studi ed essere in grado interpretarli correttamente, riconoscendone eventuali limiti metodologici.
di M.G., psicologo
Da psicologo, vorrei proporre alcune brevi considerazioni riguardo alla metodologia di ricerca in psicologia. Il grande tema sullo sfondo è quello dell’identità di genere, tema sul quale si stanno concentrando numerosi studi e ricerche cliniche. In particolare oggigiorno si possono incontrare spesso degli studi cosiddetti “scientifici” che vorrebbero dimostrare una presunta correlazione tra terapia ormonale e chirurgica e benefici psicologici (per esempio diminuzione della depressione).
Senza addentrarmi nella descrizione del metodo sperimentale in psicologia, vorrei fare alcune sottolineature che aiutino i non-addetti-ai-lavori a “leggere” e interpretare correttamente queste ricerche:
- Individuare una correlazione tra due variabili (per es. cura ormonale e benessere psicologico) non significa individuare una relazione di causa-effetto tra di esse. Alcune ricerche correlazionali e descrittive presentano in maniera tendenziosa la correlazione come se dimostrasse una relazione di causa-effetto. Un buon manuale di statistica spiegherà bene come non sia così. Per verificare un’ipotesi e individuare una eventuale relazione di causa-effetto tra variabili si devono organizzare veri e propri esperimenti standardizzati con gruppi sperimentali e gruppi di controllo in grandi numeri.
- Laddove si sono tentati esperimenti di questo genere appare molto carente un elemento imprescindibile nella ricerca sperimentale: la validità. La validità di un esperimento è data dalla sicurezza cui con si individua una sola variabile controllata (es. la cura ormonale) come la causa certa del cambiamento di una variabile dipendente (es. il benessere), mentre tutto il resto deve rimanere invariato e costante. Si dovrebbero cioè escludere tutte le infinite variabili che potrebbero influire sul risultato finale (per esempio il trascorrere del tempo, eventi favorevoli o meno, psicoterapia). I risultati, poi, dovrebbero poter essere validamente estesi ad altre situazioni o individui, cioè alla popolazione, per cui il campione analizzato dovrebbe essere veramente rappresentativo della stessa (validità esterna).
- Anche l’attendibilità di questi presunti esperimenti appare quantomeno dubbia. L’attendibilità è un elemento imprescindibile della ricerca scientifica e indica che uno studio dovrebbe generare risultati coerenti e simili anche se condotto in luoghi differenti, a distanza di tempo e da persone differenti. Solamente in questo caso i risultati potrebbero essere considerati credibili.
- Si sottolinea poi l’importanza dell’effetto Rosenthal (o effetto dell’aspettativa del ricercatore): esso evidenzia come le aspettative dello sperimentatore possano influenzare i risultati e le interpretazioni di una ricerca. Uno scienziato, cioè, tendenzialmente cerca di dimostrare vera la propria ipotesi e mette in atto comportamenti, più o meno consci, che possano favorire il risultato atteso. Ecco perché a volte troviamo studi che affermano di “dimostrare” come vera un’ipotesi e altri che, nello stesso tempo, “dimostrano” vero l’esatto opposto.
Il mio suggerimento è quello di accogliere sempre con una certa cautela gli studi che vogliono sbandierare presunte “evidenze scientifiche” come certezze granitiche e indubitabili.
È bene sempre domandarsi chi ha organizzato questi studi e con quale scopo.
Ricordo che il filosofo K. Popper – dal quale non si può più prescindere – affermò che una teoria scientifica, per essere tale, deve poter essere falsificabile, cioè deve rimanere sempre aperta alla possibilità di essere confutata da ulteriori dati empirici, pena il trasformarsi in un approccio non scientifico (in tal senso una teoria scientifica non è mai “vera” in senso assoluto).
Questo non significa assumere per forza un atteggiamento paranoico, antiscientifico o scettico: esistono infatti realmente ottimi studi scientifici, basati su esperimenti ben costruiti, validi, attendibili, standardizzati e che evitano l’effetto Rosenthal, che sono il frutto di ricerche serie e prolungate nel tempo.
Ma, nel settore dell’identità di genere, siamo ancora lontani dall’individuare una vera relazione di causa-effetto tra variabili molto complesse e spesso legate alla storia individuale.
L’attuale carenza di risposte certe e univoche dovrebbe favorire tra psicologi e scienziati una grande quantità di riflessioni e ricerche sul tema, in un atteggiamento di curiosità, interesse e rispetto, cosa che attualmente non avviene. Spesso si preferiscono facili “certezze” – a volte molto pubblicizzate via media – non fondate sull’evidenza della ricerca ma su un approccio ideologico. Questo approccio al tema assomiglia a una impostazione di tipo fideistico della questione, che scoraggia ulteriori punti di vista, ricerche e contributi (il che è proprio il contrario del metodo scientifico).
Prima di pubblicare risultati tendenziosi sotto il nome di “studi scientifici” occorrerebbe quantomeno ripassare l’ABC della statistica e del metodo sperimentale, che noi tutti psicologi abbiamo studiato al primo anno di università.
Bibliografia essenziale
Areni A., Ercolani A., Elementi di statistica per la psicologia, Il Mulino, Bologna 2008.
Dazzi L., Lingiardi V., Colli A., La ricerca in psicoterapia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2006.
Popper K.R., Scienza e filosofia. Problemi e scopi della scienza, Einaudi, Milano 2000.
Welkowitz J., Cohen B., Statistica per le scienze del comportamento, Apogeo Education, Milano 2009.