Così è iniziato il nostro percorso affermativo
Sono mamma di una ragazza di 16 anni.
La nostra storia ha un inizio un po’ diverso, perché mia figlia è stata da noi adottata quando era piccola.
Da sempre abbiamo affrontato e cercato di elaborare l’abbandono, l’adozione e le differenze somatiche che ci appartengono.
Siamo una famiglia presente e che non si è mai nascosta dietro le difficoltà. Abbiamo cercato e accettato il confronto con altre coppie adottive e l’aiuto di professionisti per affrontare i tanti momenti difficili incontrati fino ad ora.
Fin da picolina, infatti, ha sempre avuto un temperamento forte e oppositivo, e ha sempre avuto bisogno di conferme. La bassa autostima, le difficoltà scolastiche, l’incapacità di essere costante nelle scelte di vita, il non sentirsi mai all’altezza delle situazioni e delle amicizie hanno fatto sì che tutt’ora si ritrovi a vivere momenti di sconforto totale e di inadeguatezza nel vivere le relazioni.
Verso la fine della terza media, dopo il lockdown, ha iniziato a parlarci di come si sentiva. La cosa strana è stata che, quando ci ha detto di sentirsi maschio, nella sua testa aveva già tutto definito.
Ho scoperto solo in seguito, dopo aver controllato nella cronologia di PC e telefono, che le sue ricerche erano iniziate in pieno Covid e andavano avanti da mesi, sui social e internet, soprattutto prendendo ad esempio uno famoso Youtuber che, con tanta superficialità e leggerezza, spiegava i vari passaggi della somministrazione di ormoni e dava consigli su interventi chirurgici che mi hanno lasciato davvero senza fiato!
Ho pianto, urlato, ho pregato perché quello non fosse il futuro di mia figlia e sono arrivata a sentirmi sbagliata per non saper accogliere e accettare!
Questo perché gli adulti all’esterno, e soprattutto la psicoterapeuta a cui ci siamo rivolti, ci hanno detto che dovevamo ascoltare il suo sentire e dovevamo affermarlo per il suo bene! Perché non affermarlo l’avrebbe sicuramente portata ad avere problemi ancora più grandi a livello psicologico.
Così è iniziato, senza che ce ne rendessimo nemmeno conto, il nostro percorso affermativo, dietro ai suoi ricatti, alle discussioni, alle cose fatte di nascosto, come la richiesta dell’utilizzo di pronomi maschili a scuola e l’acquisto del binder.
Fortunatamente in casa, con tanta fatica, è rimasta nostra figlia, con l’utilizzo di pronomi femminili; su questo siamo stati irremovibili, dicendole che ci vuole tempo, che non ci sentiamo pronti.
Non nego che ha sempre amato giocare a calcio, che ha sempre amato vestiti comodi e sportivi, ma non ha mai avuto da piccola atteggiamenti di disagio per il proprio corpo, e oggi mi chiedo:
come possono dei professionisti, davanti ad una situazione di vita così complessa, non fermarsi a riflettere e ad aiutarla nella ricerca dei motivi del suo malessere? Anziché assecondarla nelle sue richieste?
Quando finalmente sono riuscita a spostare l’attenzione dal mio dolore di madre per ciò che ci stava succedendo al suo dolore, sono rinata e sono cambiata! Oggi sono arrivata a capire che quello che lei sta vivendo non è una sfida o un capriccio, ma una richiesta d’aiuto, una sofferenza vera, perché lei davvero sente questo disagio dentro!
Ora so che non devo lasciarla andare, che devo aiutarla a capire chi è veramente, a rimettere insieme i pezzi della sua vita, dall’abbandono ad oggi, solo in seguito potrà capire quale sarà la sua identità di genere.
Da sempre lei è la mia ragione di vita, mi sono innamorata di lei la prima volta che i nostri occhi si sono incontrati e continuo ad amarla con tutta me stessa, qualunque sarà il suo futuro io sarò al suo fianco. L’unica cosa che chiedo è che capisca che stiamo parlando di percorsi medicalizzanti e irreversibili sulla sua persona, che non possono essere affrontati a 16 anni e con così tanta facilità.