Affermazioni che meritano un chiarimento: le nostre domande al Dr. Tornese
Alcune domande al Dr. Tornese, a seguito dei suoi recenti interventi pubblici
Negli ultimi mesi i genitori della nostra associazione hanno avuto modo di assistere ad alcuni incontri ai quali ha partecipato in qualità di relatore il Dr. Tornese, dirigente medico di I livello presso la S.S. Endocrinologia, Diabetologia e altre malattie del metabolismo della SCU Clinica Pediatrica dell’Istituto per l’infanzia IRCCS “Burlo Garofolo” di Trieste, nonché Ricercatore a tempo determinato di tipo B (MED/38) presso l’Università degli Studi di Trieste dal 2/10/2023.
Dopo aver assistito con grande interesse agli interventi presentati dal Dr. Tornese al webinar “Gender e disforia di Genere”, organizzato nell’ottobre 2024 dalla Società Italiana di Pediatria, al Congresso “Salute Transgender nell’arco della vita tra benessere e diritti”, organizzato nel gennaio 2025, fra gli altri, dall’ONIG e all’incontro di Trieste organizzato sempre nel gennaio 2025 dalla Consulta di Bioetica Onlus, in collaborazione con l’Ambulatorio Pediatrico per la Varianza di Genere APEVAGE, i genitori della nostra Associazione sono rimasti molto colpiti dalle modalità espositive di alcuni argomenti, per cui riteniamo utile e importante invitare il Dr. Tornese ad un utile confronto, in modo da evitare fraintendimenti di sorta in merito al suo pensiero su tematiche così delicate e importanti per le famiglie dei ragazzi con incongruenza di genere.
1. Le affermazioni sullo studio di Turban
Nel corso del webinar organizzato dalla Società Italiana di Pediatria, il Dr. Tornese ha mostrato la seguente slide a proposito dello studio di Turban sui bloccanti della pubertà, in merito al quale GenerAzioneD ha già pubblicato un apposito approfondimento che mette in luce le debolezze di tale studio, che – per dare un contesto al lettore – si basa su interviste autosomministrate online, in modo non controllato e su base volontaria, a un pubblico di individui reclutati da associazioni transgender nell’ambito di un sondaggio molto ampio sulle condizioni delle persone trans.

A corredo della slide il Dr. Tornese ha dichiarato quanto segue:
“Sull’efficacia della terapia… poi ci sono diversi studi, tra i tanti vi ho portato questo, americano, fatto su 20.000 adulti transgender, di cui il 17% avrebbe voluto frenare la pubertà, ma non gli è stato concesso. Il 2,5% aveva invece ricevuto la terapia frenante. Ebbene, in chi aveva ricevuto la terapia frenante c’era stata una riduzione del 70% dell’IDEAZIONE SUICIDARIA”.
Su tale affermazione vorremmo richiedere al Dr. Tornese alcuni chiarimenti, al fine di essere certi di aver ben compreso il senso della sua esternazione.
1.1. Riduzione dell’ideazione suicidaria o dei tentativi di suicidio?
Il Dr. Tornese parla di “ideazione suicidaria”, mentre nel febbraio 2024, 12 associazioni e società scientifiche (fra cui SIEDP, a nome della quale il Dr. Tornese ha parlato al congresso organizzato a Napoli) avevano emanato una nota congiunta nella quale affermavano quanto segue: “dai dati della letteratura scientifica si evince che fino al 40% dei giovani TGD TENTA IL SUICIDIO (cfr. James SE, et al. National Center for Transgender Equality. 2016), e che LA TERAPIA CON TRIPTORELINA RIDUCE DEL 70% QUESTA POSSIBILITÀ (cfr. Turban JL et al. Pediatrics. 2020)”.
Tale documento è stato più volte menzionato ed esibito anche all’interno dei lavori parlamentari presso la Commissione Parlamentare che discuteva sull’utilizzo della triptorelina ed è stato citato come fonte autorevole non sindacabile, visto il numero delle associazioni e società firmatarie.
Tra “ideazione suicidaria” e “tentativo di suicidio”, però, c’è una differenza sostanziale, non solo in ambito prettamente clinico, ma anche comunicativo. Per questo l’affermazione del Dr. Tornese sull’ideazione suicidaria è importante, in quanto sembra confermare il sospetto di GenerAzioneD sull’erroneità del comunicato delle 12 associazioni e società scientifiche.
A seguito della pubblicazione di tale comunicato, GenerAzioneD, rappresentando il desiderio dei genitori associati che desideravano comprendere appieno i termini della vicenda, ha inoltrato una lettera pubblica di richiesta di chiarimenti alle predette associazioni e società, fra cui SIEDP. Ad oggi nessuna di esse ha ritenuto opportuno rispondere alle istanze di genitori preoccupati per la salute e per la vita dei propri figli.
Visto che anche la Dr.ssa Vignozzi del Careggi, udita in Commissione alla Camera nel maggio 2024, si è riferita a questo studio parlando esclusivamente di “ideazione suicidaria”, e allo stesso modo ha fatto l’Associazione Medici Endocrinologi (AME) nel 2020, vorremmo chiedere anche al Dr. Tornese quanto segue:
Conferma che le conclusioni dello studio di Turban del 2020 abbiano associato la somministrazione di triptorelina ad una minore probabilità di IDEAZIONE suicidaria durante la vita successiva o invece ritiene corretto quanto affermato dalle 12 associazioni e società scientifiche, secondo le quali Turban avrebbe osservato una diminuzione del 70% dei TENTATIVI di suicidio?
Nel caso confermasse quanto da Lei dichiarato al Webinar, ritiene che correttezza professionale, scientifica ed etica imporrebbe alle 12 associazioni e società scientifiche (o quantomeno a SIEDP che lei rappresenta) di rettificare il documento emesso?
1.2. Sulla percentuale del 70% di riduzione dell’ideazione suicidaria
In merito alla percentuale del 70%, citata dal Dr. Tornese e coerente con quella menzionata nel documento delle 12 associazioni e società scientifiche, la nostra Associazione aveva a suo tempo interpellato una serie di esperti autorevoli di diversa provenienza e formazione, ai quali aveva sottoposto lo studio di Turban, per comprendere da dove si ricavasse tale eclatante dato.
Tutti gli esperti avevano concordemente confermato che tale percentuale non era coerente con i risultati dello studio in oggetto.
L’Associazione aveva quindi provveduto a richiedere la redazione di un formale parere tecnico ad uno degli studiosi interpellati, il Prof. Del Giudice dell’Università di Trieste, la cui conclusione è stata la seguente: “In sintesi: ci sono diversi motivi per non prendere per buoni i risultati di Turban et al. (2020), ma anche se lo si volesse fare, non si potrebbe in alcun modo sostenere che la possibilità di tentare il suicidio si riduce del 70%. Nello studio, la riduzione del rischio è più vicina al 20%, e risulta significativa solo nel caso dell’ideazione suicidaria (ma non dei tentativi). La lettura delle società medico-scientifiche sembra basata su un fraintendimento dei risultati, con un errore piuttosto grossolano nell’interpretazione degli indici statistici”.
Auspicando che si concordi sul fatto che la qualità delle informazioni fornite dai professionisti sanitari all’intera comunità e in particolare ai genitori sia fondamentale per consentire loro di assumere decisioni di importanza vitale per il futuro dei loro figli, si ritiene importante che le persone che si qualificano come “esperti” in materia di trattamento della disforia facciano estrema chiarezza su questo aspetto.
Senza elencare qui tutte le carenze metodologiche dello studio di Turban, su cui GenerAzione D si è già espressa, che lo rendono inaffidabile, è indubbio che la riduzione dell’ideazione suicidaria del 20% (ipotizzata da Turban sulla base di, ricordiamolo, autodichiarazioni di un campione volontario e non controllato di individui) come conseguenza della somministrazione della triptorelina non è un risultato minimamente paragonabile alla “riduzione dei tentativi di suicidio del 70%” che abbiamo visto comparire a difesa dell’utilizzo del farmaco nei minori con disforia di genere.
Da questo “malinteso” può dipendere la scelta di un genitore in merito alle prospettive di vita di un fragile figlio.
Visti i concordi pareri in merito dei professionisti da noi interpellati, chiediamo al Dr. Tornese quanto segue:
Conferma che nello studio di Turban la riduzione dell’ideazione suicidaria è calcolata nella misura del 70%? In tal caso ci può cortesemente riportare il passaggio in cui tale evidenza viene riportata e le modalità di calcolo per arrivare a tale percentuale? Oppure ritiene di dover rettificare tale percentuale?
1.3. Sulla percentuale di coloro che avrebbero ricevuto la terapia “frenante” (2,5%)
Il Dr. Tornese, nell’affermazione sopra riportata, ha dichiarato che lo studio di Turban è “fatto su 20.000 adulti transgender, di cui il 17% avrebbe voluto frenare la pubertà, ma non gli è stato concesso. Il 2,5% aveva invece ricevuto la terapia frenante. Ebbene, in chi aveva ricevuto la terapia frenante c’era stata una riduzione del 70% dell’ideazione suicidaria”.
Tale affermazione, così declinata e in assenza di ulteriori precisazioni, veicola il seguente messaggio: il numero di coloro che hanno assunto i bloccanti della pubertà ammonta al 2,5% di 20.000 e quindi a 500 persone, con un beneficio indotto per 350 di essi.
Questo però non è ciò che si evince dallo studio di Turban, come si può dedurre dalla seguente tabella redatta dallo stesso Turban.

Riteniamo quindi importante sottolineare che lo studio di Turban et al., riporta solamente 89 casi trattati con i bloccanti della pubertà (si ribadisce autoriferiti tramite sondaggio online non verificato, e, come vedremo, anche in presenza di un’evidente confusione sui nomi dei farmaci richiesti e ottenuti) e non 500 come l’affermazione del Dr. Tornese induce a pensare, in quanto la percentuale del 2,5% non si riferisce ai 20.000 transgender oggetto dell’originale sondaggio di James, bensì solamente al 16,9% di questi che avrebbero desiderato i bloccanti della pubertà.
Il condizionale è d’obbligo, in quanto lo stesso James, nelle note del suo lavoro, afferma che la gran parte delle persone intervistate (ben il 73%), nelle risposte al sondaggio aveva confuso i bloccanti della pubertà (che si somministrano fino ai 16 anni) con gli ormoni cross-sex[1], avendo più di 18 anni al momento della presunta assunzione.
Essendo chiaro che l’effetto confondimento rappresenta una delle molte altre variabili che rendono estremamente deboli le conclusioni dello studio di Turban, desideriamo chiedere al Dr. Tornese quanto segue:
Conferma che la percentuale del 2,5% da Lei menzionata non si riferisce al dato di partenza dei 20.000 transgender, bensì alla percentuale da Lei riferita del 16,9%, con la conseguenza che i presunti casi trattati sono 89 e non 500, come invece si poteva intuire dal tenore del suo intervento?
Non ritiene che, rivolgendosi ad una platea di “non esperti” sul tema, sia opportuna maggior chiarezza espositiva in proposito e che al pediatra che deve confrontarsi con una condizione delicatissima come l’incongruenza di genere vada illustrato il quadro nel modo più preciso possibile e completo delle eventuali criticità?
2. Le affermazioni sul rapporto fra triptorelina e ormoni cross-sex
Nel corso del webinar organizzato dalla Società Italiana di Pediatria, il Dr. Tornese ha affermato quanto segue:
“A volte si dice che: “Se però questi ragazzi iniziano con la triptorelina, in qualche modo la strada è decisa”. Quindi un percorso che inizia e non si può scappare da lì. In realtà anche qui gli studi ci dicono cose diverse, perché proprio chi fa la terapia con la terapia frenante, in realtà va molto meno spesso incontro alla terapia affermativa di chi invece non ha fatto la triptorelina”.
Al convegno di Trieste il Dr. Tornese ha ribadito il concetto nel seguente modo: “L’altra accusa che spesso viene fatta è che è una strada decisa: cioè se io ti do la triptorelina ti obbligo poi a fare tutte le tappe del percorso, quindi fare il testosterone, fare la chirurgia. Gli studi ci dicono il contrario cioè che chi non fa la triptorelina il 100% fa poi la terapia affermativa, chi fa la triptorelina invece l’80% quindi significa che per alcuni questa terapia serve veramente per decidere con appropriatezza il proprio futuro”.
E come slide esplicativa il Dr. Tornese allega il seguente grafico ricavato dallo studio di Nos et al. del 2022.

Dal tenore delle affermazioni sopra riportate, arriva il messaggio che gli studi scientifici (declinati al plurale) confermino la seguente circostanza: chi non assume la triptorelina prosegue il percorso affermativo nel 100% dei casi, mentre chi assume la triptorelina lo prosegue solamente nell’80% dei casi. La triptorelina in buona sostanza scoraggerebbe l’assunzione di ormoni cross-sex che invece sarebbe certa in assenza di triptorelina.
Una conclusione che pare quanto meno singolare anche all’uditore più inesperto, anche perché il mondo scientifico concorda – come anche il Dr. Tornese ricorda nei suoi interventi – sul fatto che la disforia di genere raramente persiste in età adulta e molto frequentemente i giovani, in assenza di interventi di transizione sociale o medica, si riallineano al proprio sesso di nascita in percentuali che superano l’85%. Questo altissimo tasso di desistenze naturali non rientra nel grafico di Nos et al., mentre è proprio a questo che andrebbe confrontato quel ben più basso numero di persone (20%, secondo Nos) che decidono (temporaneamente o nel lungo periodo?) di non assumere ormoni cross-sex dopo aver assunto la terapia bloccante.
Senza entrare nel merito dell’inaccurata affermazione secondo cui chi non assume triptorelina poi nel 100% dei casi assumerà ormoni cross-sex e senza riportare in questa sede considerazioni circa la qualità dello studio citato e delle critiche che ha subito, si osserva che gli stessi autori della ricerca si premurano di precisare che “questo studio presenta delle limitazioni che dovrebbero essere affrontate. Si tratta di un’analisi di coorte retrospettiva di dati amministrativi di pazienti iscritti al programma sanitario militare statunitense, TRICARE… (omissis). Questi fattori limitano la generalizzabilità dei nostri risultati. Poiché si tratta di uno studio di dati amministrativi del piano sanitario, non disponiamo di informazioni sulle cure ottenute dalla famiglia senza utilizzare il beneficio TRICARE… (omissis). È possibile che i pazienti abbiano scelto di ottenere farmaci che confermano il genere senza utilizzare il loro beneficio TRICARE, pur ottenendo altre cure mediche nel MHS… (omissis). Inoltre, non abbiamo acquisito informazioni sui fattori individuali di pazienti, genitori e medici che possono influenzare le decisioni sull’inizio o l’interruzione di trattamenti medici che confermano il genere o sulla ricerca di questi trattamenti”.
In buona sostanza sono gli stessi autori che invitano a non generalizzare i risultati dello studio, viste le debolezze metodologiche e la parzialità del campione di riferimento. In particolare, le analisi sono state eseguite dagli autori su dati di archivio senza aver mai visto i pazienti, e senza sapere nulla sui criteri seguiti da chi aveva prescritto i trattamenti, sul percorso clinico dei ragazzi e sulle possibili differenze tra gruppi con e senza triptorelina.
Peraltro, se volessimo esaminare cosa accade in ambito italiano, possiamo fare riferimento alle affermazioni rese alla stampa dalla Dr.ssa Fisher, endocrinologa dell’Ospedale Careggi di Firenze, Centro Medico in prima linea in Italia per il trattamento della disforia di genere nei fanciulli tramite la triptorelina.
La Dr.ssa Fisher, in merito alla percentuale di desistenti fra coloro che hanno assunto i bloccanti della pubertà, afferma quanto segue:
- “Di tutti i nostri pazienti la metà ha fatto il percorso con i bloccanti, NESSUNO di questi è tornato indietro” (03/06/2021 – Repubblica).
- “Nella nostra casistica TUTTI gli adolescenti a cui sono stati inizialmente somministrati i bloccanti hanno poi continuato con gli ormoni” (06/11/2021 – Repubblica).
- Vi è capitato che gli adolescenti decidessero ad un certo punto di smettere di prendere questi farmaci? “Da noi non è mai successo. Anche altrove non capita frequentemente. In un recente studio pubblicato su un’ampia casistica di quasi settemila prese in carico dalla clinica di Amsterdam è stato riportato come solo lo 0.5% abbia deciso di sospendere il trattamento” (06/11/2021 – Repubblica).
La Dr.ssa Fisher, quindi, afferma che in Italia il 100% dei casi, e in Olanda il 99,5% di 7.000, di coloro che hanno assunto l’ormone bloccante della pubertà poi ha continuato ad assumere gli ormoni cross-sex.
In letteratura scientifica internazionale le affermazioni sono univoche e coerenti con quanto affermato dalla Dr.ssa Fisher. Fra i molteplici studi che confermano una percentuale vicina al 100% fra coloro che proseguono con gli ormoni cross-sex dopo aver iniziato i bloccanti della pubertà, se ne citano alcuni, a mero titolo di esempio, pubblicati da studiosi che promuovono apertamente il trattamento affermativo, come Peggy Cohen-Kettenis e Henriette Delemarre-van de Waal, creatrici del protocollo affermativo olandese, Annelou de Vries che lo ha applicato nella clinica di Amsterdam e Polly Carmichael, direttrice della clinica Tavistock di Londra:
- “Fra il 2000 al 2008… agli altri 111 adolescenti è stato prescritto GnRHa per la soppressione pubertà… nessun adolescente si è ritirato dalla soppressione della pubertà e tutti hanno iniziato il trattamento con ormoni sessuali incrociati, il primo passo dell’effettiva riassegnazione di genere” (de Vries A.L.C., Steensma T.D., Doreleijers T.A., Cohen-Kettenis P.T. (2011). “Puberty suppression in adolescents with gender identity disorder: a prospective follow-up study”, in The Journal of Sexual Medicine, n. 8, p. 2276–2283).
- “Nella clinica olandese per l’identità di genere, nessuno degli adolescenti con diagnosi di GID e trattati con analoghi del GnRH si è astenuto da ulteriori procedure di trattamento o si è pentito della riassegnazione di genere” (Cohen-Kettenis P. T., Schagen S. E. E., Steensma T. D., de Vries A. L. C., Delemarre-van de Waal H. A. (2011). “Puberty Suppression in a Gender-Dysphoric Adolescent: A 22-Year Follow-Up”, in Archives of sexual behavior, n. 40, pag. 843-847).
- “La grande maggioranza degli adolescenti che hanno iniziato GnRHa hanno successivamente iniziato gli ormoni di affermazione del genere non appena hanno potuto beneficiare di questo trattamento… Su 333 adolescenti che fino a dicembre 2015 avevano iniziato la soppressione della pubertà presso la clinica di genere VUmc nei Paesi Bassi, l’1,9% ha interrotto…” (Brik T., Vrouenraets L. J. J. J., de Vries M. C., Hannema S. E. (2020). “Trajectories of adolescents treated with gonadotropin-releasing hormone analogues for gender dysphoria”, in Archives of Sexual Behavior, n. 49, pag. 2611–2618”.
- “Riportiamo gli esiti a breve e medio termine di una coorte prospettica di 44 giovani con GD persistente e grave trattati con GnRHa con conseguente soppressione puberale dalla metà della pubertà per 1-4 anni. I giovani sono stati presi in considerazione per l’arruolamento dopo un lungo periodo di tempo… Alla fine dello studio, 43 (98%) hanno scelto di iniziare gli ormoni cross-sessuali, mentre un giovane ha scelto di interrompere il GnRHa e di continuare la pubertà coerentemente con il proprio sesso registrato alla nascita” (Carmichael P., Butler G., Masic U., Cole T. J., De Stavola B. L., Davidson S., Skageberg E. M., Khadr S., Viner R. M. (2021). “Short-term outcomes of pubertal suppression in a selected cohort of 12 to 15 year old young people with persistent gender dysphoria in the UK”, in PLOS ONE, February 2)
- “Abbiamo studiato la percentuale di persone che hanno continuato il trattamento con l’ormone di affermazione di genere al follow-up dopo aver iniziato la soppressione della pubertà e il trattamento con l’ormone di affermazione di genere nell’adolescenza… Sono state incluse 720 persone, di cui 220 (31%) sono state assegnate come maschi alla nascita e 500 (69%) come femmine alla nascita… 704 (98%) persone che avevano iniziato un trattamento medico di affermazione di genere nell’adolescenza hanno continuato a utilizzare ormoni di affermazione di genere durante il follow-up” (van der Loos M., Hannema S.E., Klink D.T., den Heijer M., Wiepjes C.M. (2022). “Continuation of gender-affirming hormones in transgender people starting puberty suppression in adolescence: a cohort study in the Netherlands”, in Lancet Child Adolesc Health, n. 6, pag. 869-875)
Da quanto sopra esposto emerge chiaramente come chi assume la triptorelina abbia la quasi certezza di proseguire nel percorso affermativo, per stessa ammissione di coloro che promuovono l’utilizzo della triptorelina.
Le criticità emerse da tale preoccupante sequenzialità sono state sollevate da molteplici studi, in primis dalla Cass Review, ma ciò che ci preme sottolineare in questa sede non è alimentare la discussione su tale questione, che dovrebbe essere oggetto di seria riflessione da parte di tutti i professionisti medici privi di pregiudizi, bensì comprendere per quale motivo, a fronte di una letteratura così corposa, il Dr. Tornese si limiti a menzionare esclusivamente uno studio limitato che abbassa la percentuale all’80%, fornendo una informazione parziale e contraddetta da copiosa letteratura affermativa.
Pertanto desideriamo chiedere al Dr. Tornese quanto segue:
Per quale motivo di fronte ad una sequenzialità così esplicita, che è diventata oggetto di intensa riflessione e dibattito scientifico, Lei pare voler veicolare il messaggio che chi assume triptorelina ha meno probabilità di assumere poi gli ormoni cross-sex?
Ritiene che questa, basata su un singolo studio di archivio con risultati difficili da interpretare e discordanti rispetto al resto dei dati disponibili, sia una rappresentazione completa e fedele del rapporto fra GnRHa e successivo trattamento affermativo?
Di fronte alla sua rappresentazione, ritiene che i genitori siano in grado di fornire un consenso veramente informato?
3. Sulla valenza del WPATH (SOC8)
Nel corso dell’incontro organizzato a Napoli, il Dr. Tornese ha parlato a nome della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP) e della Società Italiana di Pediatria (SIP), affermando quanto segue:
“Per la SIEDP… abbiamo istituito uno degli ultimi gruppi di studio sull’incongruenza di genere e questo è stato fatto per arrivare a dei risultati concreti. Uno dei primi è stato quello di fare un PDTA (Percorsi Diagnostici-Terapeutici Assistenziali, ndr.) della società… che è molto completo e che è in linea con il SOC8, per cui penso che questo sia un passo significativo”.
A prescindere dagli scandali che hanno travolto l’associazione privata WPATH che ha elaborato le linee guida SOC8 (in proposito si rinvia alla lettura del recente articolo L’annus horribilis della WPATH), si rileva che tale associazione promuove una crescente medicalizzazione, anche chirurgica, in età sempre più precoce. Si veda in proposito la Raccomandazione (Statement 12G) del SOC8 che prevede quanto segue:
“L’adolescente ha la seguente età per ogni trattamento:
- 14 anni e oltre per il trattamento ormonale (estrogeni o androgeni), a meno che non vi siano ragioni significative e convincenti per adottare un approccio individualizzato, considerando i fattori unici del quadro terapeutico adolescenziale.
- 15 anni e oltre per la mascolinizzazione del torace (mastectomia, ndr.), a meno che non vi siano ragioni significative e convincenti per adottare un approccio individualizzato, considerando i fattori unici del contesto terapeutico adolescenziale.
- 16 anni e oltre per l’aumento del seno, la chirurgia facciale (compresa la rinoplastica, la rasatura tracheale e la genioplastica) come parte di un trattamento di affermazione del genere; a meno che non vi siano ragioni significative e convincenti per adottare un approccio individualizzato, considerando i fattori unici del contesto di trattamento dell’adolescente.
- 17 anni e superiori per la metoidioplastica, l’orchiectomia, la vaginoplastica, l’isterectomia e il rimodellamento fronto-orbitale come parte del trattamento per l’affermazione del genere, a meno che non vi siano ragioni significative e convincenti per adottare un approccio individualizzato, considerando i fattori unici del contesto terapeutico dell’adolescente.
- 18 anni o più per la falloplastica, a meno che non vi siano ragioni significative e convincenti per adottare un approccio individualizzato, considerando i fattori unici del quadro terapeutico adolescenziale.
Le età sopra indicate forniscono una guida generale sull’età in cui possono essere presi in considerazione gli interventi di affermazione del genere”.
Si noti che la declaratoria raccomanda l’adozione di tali interventi in tali età per la generalità dei casi, inserendo per ogni intervento eventuali eccezioni con l’inciso “a meno che”.
Chiunque promuova l’applicazione delle linee guida SOC8 del WPATH, qualificandole come “passo significativo”, senza effettuare distinzioni di sorta, si presume ritenga corretto e auspicabile praticare mastectomie a ragazzine di 15 anni, interventi di chirurgia facciale a 16 anni e asportazione di utero e testicoli a 17 anni, somministrando gli ormoni cross-sex già a partire dai 14 anni.
Si osserva in proposito che in tema di incongruenza di genere i profili diagnostici sono molto complessi e il margine di errore è molto elevato, per cui promuovere tali trattamenti irreversibili e mutilanti in età sempre più giovane può avere riflessi devastanti nelle vite delle persone. Si osserva anche che il passato (vedasi caso Tavistock) ci ha insegnato come le cautele preliminari a tali interventi vengano spesso declinate a favore di un rapido percorso di affermazione, con la conseguenza che le cautele che probabilmente il Dr. Tornese applica nel suo ambulatorio, non è detto che trovino altrettanto riscontro altrove.
In merito a trattamenti così invasivi su minori riteniamo importante chiedere conferma al Dr. Tornese su quanto segue:
È d’accordo con le linee guida SOC8 del Wpath, invocate da Lei e dalla sua società scientifica, nella parte in cui prevedono DI ROUTINE la medicalizzazione farmacologica tramite somministrazione di ormoni cross-sex all’età di 14 anni e l’inizio degli interventi chirurgici (es. mastectomia) a 15 anni?
Ritiene che diminuire l’età a cui si accede a trattamenti irreversibili di sterilizzazione e mutilanti rappresenti una raccomandazione da promuovere?
Ritiene inoltre che il diritto di ripensamento del giovane sia in tal modo adeguatamente tutelato? Ritiene che possa accadere che un giovanissimo interpreti male le proprie sensazioni di incongruenza oppure esclude in toto questa possibilità?
4. Le affermazioni sulla Cass Review
Nel corso del webinar organizzato dalla Società Italiana di Pediatria, il Dr. Tornese ha affermato quanto segue in merito alla Cass Review inglese:
- “Si basa su una revisione sistematica delle letterature che ha trovato 50 studi, quasi tutti di moderata qualità e addirittura uno di elevata qualità”
- “E sulla Cass Review, come avevo accennato, ci sarebbero tante cose da dire. Se qualcuno è interessato ho pubblicato di recente un commento sul Journal of Pediatrics and Child Health, definendola come una Brexit del NHS, perché in realtà si spinge da un lato molto sull’essere rigorosi nella ricerca, poi molte delle cose che dice, fra le quali una delle cose che ho riportato, non ha evidenze scientifiche sotto che confermino”.
Nel corso dell’incontro organizzato a Trieste il Dr. Tornese si è espresso in termini altrettanto decisi nei confronti della Cass Review inglese:
- “Ora, questo è un malloppone di più di 300 pagine…”
- “…questa revisione manca completamente l’integrità del processo scientifico…”
Su tali affermazioni vorremmo richiedere al Dr. Tornese alcuni chiarimenti.
4.1. Sulla qualità degli studi attestata dalla Cass Review
Se non si ha tempo e voglia di leggere interamente “il malloppone di 300 pagine” denominato Cass Review – la più completa indagine indipendente mai pubblicata sul tema del trattamento alla disforia di genere – è sempre possibile trovarne un sunto nel sito appositamente dedicato, nel quale sono riportati esplicitamente i risultati della revisione operata sugli studi presi in considerazione.
- “La revisione sistematica dei bloccanti della pubertà ha incluso 50 studi. Uno era di alta qualità, 25 di qualità moderata e 24 di bassa qualità. La revisione sistematica degli ormoni mascolinizzanti/femminilizzanti ha incluso 53 studi. Uno era di alta qualità, 33 di qualità moderata e 19 di bassa qualità”.
Visto che l’affermazione riportata dalla Cass sembra precisa e non equivocabile, chiediamo al Dr. Tornese quanto segue:
Per quale motivo Lei afferma che la Cass Review analizza 50 studi “quasi tutti di moderata qualità”? Un errore di interpretazione o la volontà di edulcorare la qualità degli studi che promuovono l’utilizzo della triptorelina?
4.2. Sulla Cass Review intesa come Brexit del NHS
Qualificare la Cass Review come una Brexit operata dal servizio sanitario inglese fornisce la rappresentazione che il NHS, con una decisione di rottura, vada in controtendenza rispetto agli orientamenti degli altri paesi europei sul tema del trattamento alla disforia di genere.
In primis occorre ricordare le conclusioni operate dalla stessa Cass Review a seguito della propria analisi sulle linee guida dei vari paesi.
- “I risultati sollevano dubbi sulla qualità delle linee guida attualmente disponibili. La maggior parte delle linee guida non hanno seguito gli standard internazionali per lo sviluppo delle linee guida e per questo motivo il gruppo di ricerca ha potuto raccomandare solo due linee guida per la pratica: la linea guida finlandese pubblicata nel 2020 e la linea guida svedese pubblicata nel 2022”.
- “La maggior parte delle linee guida ha ottenuto buoni risultati in termini di ambito e scopo, ma scarsi in termini di rigore dello sviluppo, applicabilità e indipendenza editoriale. Solo la linea guida finlandese (Council for Choices in Healthcare in Finland, 2020) e la linea guida svedese (Swedish National Board of Health and Welfare, 2022) hanno ottenuto un punteggio superiore al 50% per il rigore dello sviluppo”.
Nelle proprie conclusioni la Cass Review afferma che “lo studio sui bloccanti della pubertà dovrebbe far parte di un programma di ricerca che valuti anche i risultati degli interventi psicosociali e dei trattamenti mascolinizzanti/ormoni femminilizzanti”.
Tralasciando per un attimo la validità delle considerazioni operate dagli “scissionisti inglesi”, esaminiamo per un istante cosa affermano le linee guida finlandese e svedese in merito all’utilizzo dei bloccanti della pubertà.
– Il COHERE finlandese rileva che “gli effetti della soppressione della pubertà e degli ormoni sessuali incrociati sulla fertilità non sono ancora noti” e dispone che “alla luce delle evidenze disponibili, la riassegnazione di genere dei minori è una pratica sperimentale”.
– Il NBHW svedese afferma invece che “le lacune nella conoscenza devono essere colmate e il National Board of Health and Welfare raccomanda che questi trattamenti siano forniti nel contesto della ricerca”.
Allo stesso modo si esprime peraltro l’UKOM norvegese (The Norwegian Healthcare Investigation Board), il quale dichiara che “anche l’uso di bloccanti della pubertà e la terapia ormonale sono trattamenti parzialmente o completamente irreversibili” e raccomanda “che i trattamenti per ritardare la pubertà e i trattamenti ormonali e chirurgici per la conferma del sesso per bambini e adolescenti siano definiti come trattamenti sperimentali”.
Alla luce di quanto sopra, visto che le indicazioni della Cass Review sembrano essere pienamente sovrapponibili a quelle fornite nei paesi nordici, chiediamo al Dr. Tornese quanto segue:
La rappresentazione della Cass Review come una Brexit non rischia di indurre nell’uditore inesperto una rappresentazione fuorviante, visto che le conclusioni della Cass Review sono perfettamente in linea con quelle di diversi altri paesi?
E se questo rischio di fraintendimento è reale, non ritiene che sarebbe più corretto e opportuno evitare di delegittimare la Cass Review come un unicum nel panorama Europeo?
4.3. Sulla mancanza di evidenza scientifica della Cass Review
In merito alle accuse di mancanza di rigore scientifico rivolte alla Cass Review, sorprende che le stesse provengano da chi promuove la validità del trattamento con i bloccanti della pubertà, invocando a supporto uno studio (quello di Turban) considerato di scarsa qualità e molto contestato per gravi difetti metodologici, presenza di molteplici bias, errori di campionatura, omissione di variabili di controllo chiave e confusione nelle deduzioni.
Con riferimento specifico alla Cass Review si osserva invece che un recente studio pubblicato il 4 febbraio 2025[2] ha concluso che “le indagini e i giudizi effettuati dalla Cass Review sono stati una risposta completa, e basata sulle prove, alle controversie in questo campo clinico pediatrico. Le critiche della Review pubblicate di recente contengono affermazioni errate o contestualizzate in modo inadeguato”. Nello specifico lo studio precisa: “In questo documento sono state esaminate quattro recenti critiche alla Cass Review. Ognuna ha avanzato affermazioni inaccurate o prive di chiarimenti/contestualizzazioni essenziali. Questa scoperta dovrebbe allertare medici, accademici, genitori e pazienti a valutare questi documenti con notevole cautela, una pratica che dovrebbe essere applicata anche alle valutazioni di documenti esistenti e futuri pubblicati in questo campo. La Cass Review dovrebbe fungere da punto di partenza per ulteriori perfezionamenti nella comprensione clinica e miglioramenti nella formazione e nella ricerca della forza lavoro. Le critiche costruttive saranno sempre una parte necessaria del dibattito scientifico, ma il valore di tali critiche dipende in larga misura dalla loro accuratezza”.
Senza voler entrare nel dibattito sulla valenza o meno della Cass Review, pare evidente a chiunque che il quadro scientifico in merito alla congruità dell’approccio affermativo sia ancora dibattuto e che tutte le visioni contrapposte contengano attualmente profili di incisività e parimenti di debolezza.
In tale quadro controverso si ritiene meritevole di apprezzamento l’approccio perseguito nel documento del 5 febbraio 2024 dalla European Academy of Paediatrics (EAP), alla quale peraltro aderisce la SIP, a nome della quale il Dr. Tornese ha avuto occasione di parlare, che ha mantenuto un profilo di correttezza espositiva.
- “La maggior parte delle controversie si sono concentrate sull’uso del GnRH-a per bloccare la pubertà nei bambini peri-puberali (soprattutto considerando l’inizio precoce della pubertà osservato nei bambini di oggi) a causa delle potenziali conseguenze a lungo termine sulla salute e sulla fertilità, nonché per la mancata capacità di consenso dei bambini più piccoli”.
- “Sebbene ampiamente autorizzato per il trattamento della pubertà precoce, l’uso nella disforia di genere è controverso, non ultimo il fatto che l’uso sia sperimentale o innovativo. Alcuni Paesi ora limitano l’uso del GnRH-a nell’ambito della ricerca o solo in situazioni eccezionali da valutare caso per caso”.
- “La logica del GnRH-a è quella di consentire una valutazione, una riflessione, un supporto e una consulenza continui, liberi dalle ansie e dallo stress derivanti dalla pubertà in un genere indesiderato…”; “l’efficacia del GnRH-a nel raggiungimento di uno di questi obiettivi è dibattuta, ma è cruciale per l’analisi danno/beneficio richiesta per ciascun bambino. Questa analisi è particolarmente impegnativa in quanto alcuni potenziali danni, ad esempio la soppressione della crescita e la ridotta densità ossea, sono ben riconosciute, mentre altri lo sono meno. Le conseguenze bio-psicosociali potenzialmente dannose del ritardo della pubertà devono essere controbilanciate dal miglioramento del disagio indotto dalla disforia di genere. Tale miglioramento è stato attestato da uno studio senza gruppo di controllo, ma le preoccupazioni metodologiche su altri studi fanno sì che il loro utilizzo rimanga controverso”.
- “L’uso di questi farmaci nei bambini affetti da disforia di genere solleva tensioni tra etica e legge su chi dovrebbe determinare il miglior interesse di un giovane e chi dovrebbe fornire il consenso ai trattamenti… I bloccanti della pubertà possono essere giustificati nei soggetti gravemente colpi dalla mancanza di congruenza tra identità di genere e sesso, poiché ritardare la pubertà e procedere alla transizione può essere meno dannoso delle conseguenze a lungo termine della terapia con GnRH-a. Tuttavia, la mancanza di dati sugli esiti a lungo termine, comprese le conseguenze psicosociali della pubertà ritardata, è preoccupante e dovrebbe essere al centro di ulteriori ricerche prima di un’ulteriore espansione del loro utilizzo”.
In qualità di genitori che dovrebbero rilasciare il loro consenso informato a trattamenti medici a cui sottoporre i propri figli, siamo confusi dal fatto che le rappresentazioni pubbliche del Dr. Tornese paiono fornire costantemente un quadro rassicurante e ottimistico circa la prevalenza dei benefici rispetto ai rischi dei trattamenti affermativi (compresi i bloccanti della pubertà), abbinato ad una costante stigmatizzazione e delegittimazione delle voci contrarie, mentre molti documenti di letteratura scientifica, compreso il documento dei pediatri europei, prospettano un quadro esattamente contrario e alquanto controverso, con un conseguente e responsabile invito all’estrema cautela.
Essendo chiaro a tutti che il consenso ai trattamenti da parte di un genitore inesperto dipende dalla qualità dell’informazione fornita dal professionista medico, chiediamo al Dr. Tornese quanto segue:
In questo quadro di perpetuo e irrisolto contrasto scientifico, non ritiene che le persone più autorevoli debbano farsi carico del dovere di colmare i vuoti informativi, divulgando le evidenze scientifiche nel modo più corretto e completo possibile, permettendo in tal modo ai genitori di esprimere un consenso veramente imparziale, non viziato da una rappresentazione di parte che ometta costantemente di illustrare le voci contrarie all’approccio affermativo?
Nella certezza che il Dr. Tornese vorrà rispondere e cogliere l’occasione per chiarire al meglio le proprie affermazioni, desideriamo ricordare anche a lui quanto già rappresentato ad altri suoi autorevoli colleghi, e cioè che in questa delicata vicenda i professionisti sanitari hanno un’enorme responsabilità, in quanto i genitori, perennemente avvinti dal timore di non decidere il meglio per i propri figli, si trovano spesso nell’insormontabile difficoltà di comprendere quale sia l’informazione corretta ricevuta e quale sia invece quella tendenziosa, parziale e lacunosa, travolti da una tempesta social che confonde ancor di più il dibattito con input contradditori e faziosi. E in questa complessa dinamica ambientale il professionista sanitario deve rappresentare una guida sicura, autorevole, informata e imparziale.
[1] Così riporta lo studio di James, da cui Turban ha attinto i dati: “Mentre i farmaci che bloccano la pubertà sono di solito
utilizzati per ritardare i cambiamenti fisici associati alla pubertà giovani di età compresa tra 9 e 16 anni prima di iniziare la terapia ormonale sostitutiva, una grande maggioranza (73%) degli intervistati ha riferito di aver preso farmaci che bloccano la pubertà in Q.12.9 (domanda 12.9, ndr)e di averlo fatto dopo i 18 anni in Q.12.11. Ciò indica che la domanda potrebbe essere stata interpretata male da alcuni intervistati che hanno confuso i bloccanti della pubertà con la terapia ormonale somministrata agli adulti e agli adolescenti più grandi” (pag. 130).
[2] Kathleen McDeavitt, J. Cohn, Stephen Levine (2025). “Critiques of the Cass Review: Fact-Checking the Peer-Reviewed and Grey Literature” in Journal of Sex & Marital Therapy.