ABBIATE CURA DEI NOSTRI FIGLI
Pubblichiamo la storia inviataci da una mamma dell’associazione GenerAzioneD.
Il Covid è entrato nella mia casa e più precisamente nella testa di mia figlia, cancellando i suoi sogni di feste con i compagni di classe, alterando i suoi ricordi. La scuola, dove si iscriveva a tutte le attività alternative, si era trasformata in quell’ORRORE della DAD, e, nel giro di pochissimo tempo, non era più la ragazzina piena di vita e di attività, che raggiungeva in autonomia con la sua bicicletta e senza telefonino, perché costantemente abbandonato sul suo comodino. Per quale motivo doveva averlo con sé? Noi genitori eravamo cresciuti senza essere costantemente collegati e rintracciabili, che cosa aveva lei di diverso da noi?
Mia figlia, in una limitata manciata di mesi, si è auto-reclusa nella sua stanza, costantemente collegata ad internet; lo studio, le letture, il coro, lo sport, non facevano più parte delle sue giornate. Esistevano solo internet e chat con il nuovo gruppo di coetanee, conosciute tramite un’amica di lunga data, con la quale frequentava l’unica attività fuori casa: il corso di musica.
Un corso scelto insieme per aiutarla nuovamente a uscire e rapportarsi con gli altri. Tutte queste ragazze esprimevano approcci sessuali non binari, giocavano con lei, con la sua fragilità, con il suo bisogno di far parte del gruppo; ogni tanto scartavano lei e si legavano alla sua amica, e ogni tanto il contrario. Queste dinamiche non solo hanno creato conflitto in famiglia, ma l’hanno anche allontanata dai suoi veri amici: tutti eravamo sbagliati, se solo non stavamo al suo/loro gioco.
L’adolescenza, il conflitto, l’isolamento, i ricoveri in NPI (neuro psichiatria infantile) e la costante presenza delle nuove amiche – con le quali programmava le risposte per i medici e le litigate con me – hanno portato al suo trasferimento da una zia, dove però, per ridarle autonomia, si è permesso che il controllo e la libertà non fossero più sue, ma gestite da queste ragazze, che a fine 2022 l’hanno portata nel centro per i ragazzi con disforia di genere della nostra città.
Mia figlia ha tenuto nascosto questo percorso anche alla sua psicologa, per la quale dichiara comunque e sempre molto apprezzamento.
La luce che tutti iniziavamo a vedere – anche per l’ingresso di un ragazzo nella sua vita – è scomparsa; la cupezza ha invaso tutto il suo essere, anche la cura personale a tratti era proprio assente.
Dopo un po’, queste vite sovrapposte e malamente incrociate sono esplose, e si è scoperto il doppio percorso psicologico. Si è cercato il dialogo con la psicologa del centro – il narcisismo assoluto: tanti sorrisi e poca chiarezza (anche con mia figlia) sulla non reversibilità del processo, e un marcato “TU fai quello che dico io”, dove nel “TU” ci sto io come genitore e mia figlia come utente.
Il problema di questi centri, che accompagnano i ragazzi nella transizione di genere, è che hanno un approccio unico, standardizzato e sempre uguale per tutti, nemmeno per una situazione così modificante la vita, riescono ad avere una reale attenzione per il singolo individuo. Per loro tutti i ragazzi, a prescindere dal loro stato di salute fisica e mentale, sono in grado di scegliere la cosa giusta; l’unico loro interesse è mostrarsi accoglienti per la diversità, e in particolare per chi esprime la diversità attualmente di moda. Cosa capiterà a questi individui quando non saranno più di moda?
E’ sempre e solo il corpo, il fisico sano dei nostri figli, ad essere sbagliato? Non importa che referti medici dichiarino senza dubbio che è la mente dei nostri ragazzi ad essere in crisi, ad essere patologica su certe funzioni o che siano presenti situazioni intrusive gravi. Le disfunzioni mentali non vengono mai valutate e curate. L’autodeterminazione sul proprio corpo è un valore importantissimo; ma lo è più della nostra reale capacità decisionale?
E allora perché si piange quando qualcuno decide di suicidarsi? Infondo, ha deciso lui cosa doveva essere di sé stesso. Perché ci si batte per avere centri per il recupero della tossico dipendenze? La scelta di assumere quelle sostanze non è stata fatta nel rispetto della propria autonomia? Si discute sul diritto di malati di porre fine alla propria vita, perché del loro essere hanno ormai solo i pensieri vitali; e poi si vuole con così tanta facilità creare corpi feriti, medicalizzati a vita, che non potranno mai avere relazioni di piacere fisico, che vivranno solo grazie alla loro testa. Corpi malati con solo la testa viva (e facilmente) in crisi che potremo accompagnare all’ultimo diritto sulla propria autodeterminazione?
Quello che questa civiltà sta facendo non è il sostegno della gioventù, ma una guerra a queste generazioni dove i perdenti sono i nostri figli.
Il gioco sporco sul quale puntano è la nostra impossibilità di scendere in piazza a urlare FERMATEVI! Perché come genitori che amano i propri figli vogliamo con tutte le forze, non metterli in piazza, ma tutelare la loro privacy. Urlerei “aiutate veramente questi ragazzi, non pensate solo ai vostri interessi medici o scientifici”. Siete medici, psicologi, allora parlate con i nostri figli senza diagnosi prestabilite in testa.
A me è stato detto: ” … il tutto si deciderà collegialmente…”, e poi “…non ci sono ancora stati gli incontri che abbiamo prospettato, non c’è ancora la valutazione psichiatrica, ma io le dico che la diagnosi che ho fatto io (a questo punto poteva aggiungere da sola) è corretta”.
Ma come fai ad essere così certa che sia corretta? Perché tu decidi da sola? Perché non aspetti i risultati delle consulenze che tu stessa hai chiesto? Forse temi che qualcun altro possa dirti che non è proprio corretta?
Questi ragazzi vengono spinti con discrezione ma insistenza ad entrare nel bagno del sesso per il quale chiedono la transizione; a dichiararsi (nel nostro caso) maschio con i nuovi compagni; tutta la loro precedente vita deve essere vista come un falso.
Se poi il falso fosse quello che voi con velocità e programmazione proponete, cosa ne sarà di loro? Avranno la forza di dire al mondo “Mi sono sbagliata, mi hanno confusa, rivoglio il mio corpo, rivoglio la mia vita”? Più nessuno potrà ridare loro quel corpo e quella vita. E voi a quel punto dove sarete? Chi raccoglierà il loro dolore?
Io, cari medici del centro per la transizione di genere, non ho fiducia in voi; non riesco ad averla, in particolare dopo l’incontro avuto con voi.
L’unica mia speranza è riaccendere un lumicino di dubbio in mia figlia. Solo in lei riesco ad avere fiducia, solo la sua mano terrò stretta e insieme andremo avanti.
Una mamma che, al di sopra di tutto, ama sua figlia.