La Prof.ssa Signani: “Incongruenza e disforia di genere in bambini e adolescenti: l’approccio esplorativo e neutrale, valorizzando il fattore tempo” 

Ringraziamo la Prof.ssa Fulvia Signani per il seguente contributo.


Chi è la Prof.ssa Fulvia Signani?

Psicologa, Psicoterapeuta e Sociologa della salute;
Docente incaricata di Sociologia di Genere (Dipartimenti Studi Umanistici e Medicina);  
Co-fondatrice e Membro del Direttivo del Centro Universitario Strategico di Studi sulla Medicina di Genere – Università di Ferrara;
Co – autrice dell’articolo 3, Legge 3/2018 sulla medicina di genere,  dei due Decreti attuativi, nonché Membro dell’Osservatorio Nazionale dedicato alla Medicina di Genere presso l’Istituto Superiore di Sanità;  Nominata in Staff della Presidenza Nazionale del CNOP (Consiglio Nazionale Ordine Psicologi) in qualità di esperta di medicina, psicologia e salute di genere; Membro del Comitato Scientifico della rivista “Journal of Sex- and Gender-Specific Medicine”; Presidente EngHea (Engendering Health – APS, Ferrara);
Co- fondatrice e Membro Direttivo “Comitato di scopo per la prevenzione suicidio”(Padova);
già Dirigente Psicologa AUSL di Ferrara. Autrice di libri e articoli scientifici, ha da poco pubblicato il volume “Potenziare la Gender Medicine – I saperi necessari” (Mimesis/UNIFEStUm), nel quale ha dedicato un apposito capitolo a “Il caso della disforia di genere nei minori”.


La questione di bambini/e e adolescenti che manifestano inquietudine e sofferenza, forse ascrivibile a incongruenza di genere e disforia di genere (spesso semplificata nel “sentirsi nel corpo sessuale sbagliato”) è delicata e complessa e oggetto di pericolosi fraintendimenti e forzature. 

Non siamo a stupirci che un adulto che non si sente a proprio agio nel corpo sessuato cerchi e accetti provvedimenti farmacologici e chirurgici che apportino modifiche nel senso da lui/lei auspicate. 

Confermiamo d’altro canto che non era mai accaduto nella storia dell’umanità che una grande quantità di bambini/e e ragazzi/e (in assenza di dati italiani facciamo riferimento al Regno Unito che due anni fa riportava oltre 5mila casi) manifestassero insoddisfazione, insofferenza, urgenza di cambiamento del proprio corpo sessuato, con caratteristiche ed accelerazione dei tempi, veramente preoccupante. Fenomeno che i più attenti analisti riconducono ad un intenzionale messaggio ed effetto mass mediatico, ampiamente veicolato dai social media, che promuove “mode”, considerazioni e “premi” sociali, orientati alla esaltazione delle nuove sempre più molteplici e creative diversità di identità di genere e che si riverbera in credenze diffuse (e conseguenti comportamenti) tra amici e amiche. Notoriamente importanti soggetti di riferimento per i giovani.

1. Il valore del tempo nello sviluppo dell’identità di genere

Bambini, ragazzi e adulti, sono diversi. Negli adulti la consapevolezza dell’identità sessuale (come e quanto ci si accetta e ci si sente a proprio agio nel proprio corpo) e dell’identità di genere (chi siamo come esseri sessuati nelle relazioni con noi stessi, gli altri e nella società) rappresentano un traguardo raggiunto con l’evolvere dell’età. Nei giovani, raggiungere consapevolezza su questi aspetti richiede esperienze e maturazione. 

Gli studi di psicologia dello sviluppo confermano che bambini e adolescenti non sono ancora in grado di prevedere con certezza il loro futuro, e che l’evoluzione del loro senso di sé che, evolve, può essere un processo faticoso, travagliato e lungo. Considerazioni che trovano conforto empirico anche nelle considerazioni e ricordi personali degli adulti. 

In ogni caso va considerato che ciò che può sembrare una disforia a una certa età, potrebbe non esserlo più dopo qualche anno.

A testimoniarlo è il numero crescente di desisters e detransitioners, ossia di coloro che arrestano il proprio percorso di transizione identitaria in corso o che se ne pentono una volta avviato il processo farmacologico e chirurgico.  

Bambini e adolescenti non hanno ancora una capacità predittiva matura, aspetto che impedisce il farsi un’idea delle ricadute a lungo termine di eventuali decisioni e, il consenso informato che (in casi di approccio clinico alla disforia) viene delegato giuridicamente ai genitori, risulta provvedimento decisamente improprio. Qualora venga consultato un professionista della salute, poi, a oggi si può affermare che, in assenza di dati certi, non sia in grado nemmeno lui/lei di conoscere tutte le possibili conseguenze future del ricorso a trattamenti. 

2. I servizi di supporto: da “affermativi” ad “esplorativi e neutrali”

Le prime irrequietezze riguardo l’identità sessuale e di genere sono spesso caratterizzate dal preferire giochi e/o vestirsi con abiti stereotipicamente tipici dell’altro sesso; esplicite dichiarazioni di “sentirsi” dell’altro sesso, di essere trans (spesso con espressioni apprese dai social) e infastiditi dal proprio corpo e dai propri caratteri sessuali. 

Per provvedere ad un supporto ed aiuto a bambina/o, ragazza/o e alla sua famiglia alle prese con difficoltà di questa natura, in Italia il servizio sanitario pubblico offre ambulatori per la disforia di genere in cui si pratica per ora quasi esclusivamente l’approccio definito “affermativo olandese” (non si dispone ahimè! di dati di presa in carico). Tale approccio consiste nell’accettare, affermare, appunto, l’autodichiarazione del bambino/a, ragazzo/a in merito alla propria identità sessuale e di genere, interpretandola come definitiva e permanente. 

I/le professioniste di conseguenza prefigurano una messa “in attesa”, ponendo come meta il traguardo di quando sarà possibile l’assunzione dei farmaci bloccanti la pubertà (es.: triptorelina prescrivibile dai 12 anni – secondo la Direttiva AIFA 2018), intesi sorprendentemente come pratiche utili a “prendere tempo” (sono recentemente oggetto di attenzione le effettive conseguenze psichiche di questo blocco contronatura).

Viene quindi prefigurata la successiva somministrazione per tutta la vita di ormoni cross-sex (atti a sviluppare e mantenere caratteri sessuali secondari del sesso opposto) e, una volta maggiorenni, la chirurgia demolitiva e/o costruttiva.

Si sa, da testimonianze dirette, che in approccio affermativo non vengono né esplicitate interpretazioni temporanee (per es.: “ok, per ora la vedi così”), né vengono prefigurate possibili evoluzioni di consapevolezze diverse. 

Inutile sottolineare il “mercato” che trova utilità nel fenomeno.

A fianco di questo approccio, da tempo manifestiamo l’auspicio che possa diffondersi sensibilità e formazione dei professionisti della salute mentale in particolare, per un metodo definito a livello internazionale “esplorativo e neutrale” che risulterebbe fondamentale per accompagnare questi bambini/e, ragazzi/e nel proprio percorso di comprensione di sé, evitando di avvallare e promuovere scelte premature. 

In questo caso con la denominazione approccio esplorativo si intende enfatizzare la funzione consolidata dell’approccio psicoterapico che da sempre supporta e coadiuva l’esplorazione della propria psiche, emozioni, motivazioni e comportamenti. Questo dovrebbe essere abbinato ad una forte valenza di “neutralità”, ottenibile solo con un importante allenamento ad una autodisciplina interiore che porti convintamente a non lasciar trapelare (con sguardi, comportamenti e parole), eventuali proprie opinioni riguardo all’evolvere della situazione e che può essere rinforzata solo attraverso informazione e formazione specifica. 

In tale contesto, il minore viene sgravato dalla pressione di dover prendere decisioni definitive riguardo al proprio percorso identitario e nello stesso tempo il/la professionista, attento anche ad applicare diagnosi differenziale, può avere l’agio di esplorare eventuali altre possibili caratteristiche che causano sofferenza.

Alcuni dati confermano infatti che quella che in un primo tempo viene diagnosticata come disforia, può presentare in effetti aspetti di orientamento sessuale(quindi, più che disforici, sono omosessuali); altri dati riconducono il non gradire il proprio corpo ad una caratteristica dismorfofobica (emozioni avversive verso l’intero corpo o parti di esso); altri testimoniano co-presenti disturbi dello spettro autistico. Aspetti che, in ogni caso richiedono una aggiuntiva disponibilità e attenzione diagnostica.  

Esplorare permetterebbe, se applicato, di sostenere i giovani nel riconoscere ed esprimere i propri vissuti, senza la necessità di forzare una risposta o aderire a una categorizzazione, rasserenando anche l’ambiente familiare e sociale del/la giovane. 

3. L’importanza del supporto familiare e scolastico 

Il supporto familiare e scolastico è fondamentale per un approccio sano e sicuro alle manifestazioni di incongruenza e (forse) disforia di genere in bambini, adolescenti. I genitori d’oggi si trovano privi di una “di tradizione famigliare” su questo nuovo fenomeno. Spaventati e, forse inconsapevolmente, orientati ad una precoce interpretazione patologica dei comportamenti, tendono a chiedere immediato aiuto a specialisti. Anche in questo caso il “prendere tempo” senza sminuire l’effettiva sofferenza del figlio/a, forse può aiutare. 

I dati empirici (occorrerebbero studi specifici) confermano che la proposta di trattamenti farmacologici ai primi sintomi apparentemente disforici, rappresenta una vera e propria minaccia per la serenità dei rapporti familiari, poiché spesso crea o accentua una divaricazione fra il/la giovane e la propria famiglia. Quest’ultima comprensibilmente preoccupata per possibili scelte errate e irreversibili.

La scuola italiana, dal canto suo, spesso rinforza le preoccupazioni famigliari, dimostrandosi attenta, ma impreparata. Si riscontra il dato empirico (in assenza di rendicontazioni ministeriali) di una sempre più frequente adozione delle cosiddette “carriere alias” o iniziative estemporanee che, in assenza di protocolli “alias” approvati, assecondano comunque le richieste trans-identitarie di alunni minorenni (adozione di nome e pronome diversi da quelli anagrafici), senza coinvolgere le famiglie (sarebbe obbligatorio). 

Conclusioni 

Mentre il Regno Unito, dopo la Cass Review (di doverosa conoscenza), ha attivato gruppi di formazione di professionisti del servizio pubblico nella promozione dell’approccio “esplorativo e neutrale”, i pochi professionisti italiani disponibili a tale approccio (al momento formalmente non riconosciuto) lavorano “nell’ombra”, tentando di preservarsi dagli attacchi dei trans-attivisti, che tentano di ostacolare la “personalizzazione” del percorso di aiuto e sostegno ai minori.

Anche le famiglie dovrebbero essere aiutate ad essere “neutrali”: ascoltare ed accogliere senza giudicare, creare quindi le condizioni indispensabili affinché il/la figlio/a non debba temere rifiuti o stigmatizzazioni. La scuola dovrebbe ricevere indicazioni (al momento non ci sono) informarsi e formarsi su come svolgere un ruolo di sensibilizzazione e supporto, evitando atteggiamenti sia rigidi, che troppo “permissivi”.

Infine i mass media e la società tutta dovrebbero curare e contribuire a diffondere una maggiore sensibilizzazione e alfabetizzazione del fenomeno, favorendo un dibattito pubblico aperto e non ideologizzato, sulle cause del fenomeno “disforia” sempre più diffuso e al momento disattento e irrispettoso dei minori e delle loro fragilità.

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