Position paper delle società pediatriche italiane: domanda sulla transizione sociale – parte 6
Dalla lettera aperta di GenerAzioneD alle 5 società scientifiche italiane – Accademia Italiana di Pediatria, Società Italiana di Pediatria, Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica, Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza, Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza – che il 18 aprile hanno pubblicato sull’Italian Journal of Pediatrics il position paper “Adolescent gender dysphoria management”
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DOMANDA n. 6
Sull’opportunità di effettuare la transizione sociale
Società scientifiche italiane
“Sulla base degli alti tassi di desistenza, alcuni consigliano di essere cauti nel consentire ai bambini piccoli di presentarsi nel loro genere affermato. La preoccupazione è che la transizione sociale possa rendere difficile per i bambini la de-transizione e quindi aumentare le probabilità di una successiva transizione medica non necessaria [56]. Tuttavia, non vi è alcuna prova che la transizione sociale di per sé porti a una transizione medica non necessaria. Pertanto la transizione sociale dovrebbe essere vista come uno strumento per determinare la traiettoria appropriata per ogni singolo bambino, di cui la desistenza è un potenziale risultato [56]”[98].
ANNOTAZIONE di GenerAzioneD sulla bibliografia menzionata:
- Nota n. 56: La fonte citata a sostegno di quanto affermato richiama lo studio di Thompson L, Sarovic D, Wilson P, Irwin L, Visnitchi D, Sämfjord A, Gillberg C. (2023), denominato “A PRISMA systematic review of adolescent gender dysphoria literature: 3) treatment”, il quale non tratta di transizione sociale, ma sostiene quanto segue: “Mancano prove sul trattamento della GD nell’adolescenza. Sebbene esista una crescente quantità di letteratura che fornisce dati, la portata e la qualità sono limitate ed è necessario condurre studi prospettici con follow-up a lungo termine in diversi centri a livello internazionale. Questa serie di revisioni ha evidenziato una mancanza di prove di qualità in relazione alla GD adolescenziale in generale: l’epidemiologia, la comorbilità e l’impatto del trattamento sono difficili da valutare in modo affidabile. Senza un miglioramento in campo scientifico, medici, genitori e giovani non sono attrezzati per prendere decisioni sicure e appropriate”[99]. Si ritiene che il documento intendesse menzionare lo studio di Giordano S. (2019), indicato in nota n. 55 e denominato “Importance of being persistent. Should transgender children be allowed to transition socially?”.
The Cass Review
(Final Report – aprile 2024)
“La revisione sistematica non ha mostrato prove chiare che la transizione sociale nell’infanzia abbia esiti positivi o negativi sulla salute mentale, e prove relativamente deboli di eventuali effetti nell’adolescenza. Tuttavia, coloro che avevano effettuato la transizione sociale in età più precoce e/o prima di essere visitati in clinica avevano maggiori probabilità di procedere a un percorso medico”[100].
“Pertanto, il sesso nel quale si viene cresciuti sembra avere una certa influenza sull’esito finale di genere, ed è possibile che la transizione sociale durante l’infanzia possa cambiare la traiettoria dello sviluppo dell’identità di genere per i bambini con incongruenza di genere precoce”[101].
“Numerose linee guida raccomandano che la transizione sociale venga inquadrata in modo tale da garantire che i bambini possano riconsiderare o riconcettualizzare i loro sentimenti di genere man mano che crescono”[102](pag. 158).
“La guida del WPATH 8 è passata da un approccio di “vigile attesa” per i bambini a una posizione di sostegno alla transizione sociale come modo per migliorare la salute mentale dei bambini”[103] (pag. 158).
“C’è stato una modifica delle raccomandazioni tra il WPATH 7 (2012), che era più cauto riguardo alla transizione sociale, e il WPATH 8 (2022) che sostiene la transizione sociale durante l’infanzia”[104] (pag. 163).
“WPATH 8 giustifica questo cambiamento di posizione sulla base del fatto che ci sono maggiori evidenze sul miglioramento dei risultati di salute mentale con la transizione sociale, che la fluidità dell’identità non è una giustificazione sufficiente per non effettuare la transizione sociale e che non consentire a un bambino di effettuare la transizione sociale può essere dannoso”[105] (pag. 163). “Tuttavia, nessuna delle affermazioni del WPATH 8 a favore della transizione sociale nell’infanzia è supportata dai risultati della revisione sistematica dell’Università di York (Hall et al: Social Transition)”[106] (pag. 163).
“Data la debolezza della ricerca in questo settore, rimangono molte le incognite sull’impatto della transizione sociale. In particolare, non è chiaro se alteri la traiettoria dello sviluppo di genere e quale impatto a breve e lungo termine ciò possa avere sulla salute mentale”[107] (pag. 163).
“Non è possibile attribuire causalità in nessuna direzione dai risultati di questi studi. Ciò significa che non è noto se i bambini che hanno persistito fossero quelli con l’incongruenza più intensa e quindi con maggiori probabilità di transizione sociale, o se la transizione sociale abbia consolidato l’incongruenza di genere”[108] (pag. 163).
CONSIDERAZIONI di GenerAzioneD
Nel documento delle società scientifiche viene riportata l’accezione secondo cui non vi è alcuna prova che la transizione sociale porti di per sé a una transizione medica non necessaria. A supporto di tale affermazione, il documento cita in nota uno studio di Thompson et al. che però tratta altri argomenti. In realtà si ritiene che gli estensori volessero menzionare lo studio del 2019 di Giordano S., denominato “Importance of being persistent. Should transgender children be allowed to transition socially?”, richiamato invece in nota n. 55.
Se si esamina nel dettaglio il contenuto di questo studio, non limitandosi al mero esame del sunto in estratto, si può notare che la Giordano, nella sezione “Does social transition lead to medical transition?”, riporta la seguente affermazione: “Tuttavia, attualmente ci sono poche prove che la ST (Social Transition, ndr) di per sé aumenti le probabilità di transizione medica. Mentre sembra esistere una correlazione tra ST infantile e persistenza [2], non è chiaro come questa correlazione possa essere spiegata”[109].
L’accezione corretta, pertanto, non riporta la “mancanza di prove”, bensì la sussistenza di “poche prove”, confermando inoltre che sembra esistere una correlazione, seppur ancora inspiegata, fra transizione sociale e persistenza della disforia di genere.
Tale duplice asserzione, se letta in combinato con alcune affermazioni licenziate dalla Cass Review (“coloro che avevano effettuato la transizione sociale… avevano maggiori probabilità di procedere a un percorso medico” oppure “è possibile che la transizione sociale durante l’infanzia possa cambiare la traiettoria dello sviluppo dell’identità di genere”), dovrebbe privilegiare la raccomandazione di ricorrere in modo estremamente cauto a tale opzione, che peraltro lo stesso documento delle 5 società scientifiche qualifica come una vera e propria “fase iniziale del processo terapeutico”[110].
A sostegno di una posizione improntata all’estrema cautela soccorrono le stesse dichiarazioni delle due ideatrici del protocollo affermativo, de Vries e Cohen-Kettenis, le quali, nello studio denominato “Clinical management of gender dysphoria in children and adolescents: the Dutch approach”, affermano: ““Un altro motivo per cui sconsigliamo le transizioni precoci è che alcuni bambini che le hanno fatte (a volte in età prescolare) si rendono conto a malapena di appartenere all’altro sesso natale. Sviluppano un senso della realtà così diverso dalla loro realtà fisica che l’accettazione dei molteplici e prolungati trattamenti di cui avranno bisogno in futuro si fa estremamente difficile. Anche i genitori che accettano ciò spesso non si rendono conto che contribuiscono a far sì che i loro figli non siano consapevoli di queste conseguenze”[111]. E concludono: “L’obiettivo principale è che il bambino e, se necessario, la famiglia funzionino meglio. Se determinati problemi hanno contribuito a provocare o a consolidare una qualche disforia di genere, la disforia probabilmente scomparirà affrontando questi altri problemi[112]”. Pertanto: “Si consiglia ai genitori di adottare un atteggiamento di vigile attesa”[113].
Le stesse linee guida WPATH, nella versione 7 affermavano quanto segue: “Si tratta di una questione controversa, e gli specialisti hanno punti di vista divergenti; l’evidenza scientifica attuale non è sufficiente per predire gli esiti a lungo termine del completamento di una transizione di ruolo di genere durante la prima infanzia”[114]. Nella versione WPATH 8 tale cautela è svanita, sulla base di evidenze che sono state scongiurate dalla Cass Review.
Nonostante il documento richiami in premessa gli “alti tassi di desistenza”, sulla cui scorta una crescente parte della letteratura scientifica raccomanda cautela, per quale motivo il documento non si esprime apertamente in favore di un approccio maggiormente cauto, improntato allo schema della “vigile attesa”, preferendo rimanere sul solco delle linee emanate dal WPATH, in questa come in altre tematiche?
[98] “While the majority of adolescents with GD who start GnRHa subsequently initiate GAHT, GnRHa use is not associated with increased subsequent GAHT use [55]. Additionally, a small percentage of cases discontinue GnRHa therapy, mostly due to remission of GD, highlighting the therapeutic value of this option in facilitating informed decision-making for adolescents [71, 72]”.
[99] “There is a lack of evidence on treatment for GD in adolescence. Although there is a growing body of literature providing data, there are limitations to the scope and quality, and prospective studies with long-term follow-up from a range of centres internationally is required. This review series has highlighted a lack of quality evidence in relation to adolescent GD in general: epidemiology, comorbidity, and treatment impact is difficult to robustly assess. Without an improvement in the scientific field, clinicians, parents, and young people are left ill-equipped to make safe and appropriate decisions”.
[100] “The systematic review showed no clear evidence that social transition in childhood has any positive or negative mental health outcomes, and relatively weak evidence for any effect in adolescence. However, those who had socially transitioned at an earlier age and/or prior to being seen in clinic were more likely to proceed to a medical pathway”.
[101] “Therefore, sex of rearing seems to have some influence on eventual gender outcome, and it is possible that social transition in childhood may change the trajectory of gender identity development for children with early gender incongruence”.
[102] “Several guidelines recommend that social transition should be framed in a way that ensures children can reconsider or reconceptualise their gender feelings as they grow older”.
[103] “WPATH 8 guidance has moved from a ‘watchful waiting’ approach for children to a position of advocating for social transition as a way to improve children’s mental health”.
[104] “There has been a shift in recommendations between WPATH 7 (2012), which was more cautious about social transition, and WPATH 8 (2022) which argues in favour of social transition in childhood”.
[105] “WPATH 8 justifies this change in stance on the basis that there is more evidence on improved mental health outcomes with social transition, that fluidity of identity is an insufficient justification not to socially transition, and that not allowing a child to socially transition may be harmful”.
[106] “However, none of the WPATH 8 statements in favour of social transition in childhood are supported by the findings of the University of York’s systematic review (Hall et al: Social Transition)”
[107] “Given the weakness of the research in this area there remain many unknowns about the impact of social transition. In particular, it is unclear whether it alters the trajectory of gender development, and what short- and longer-term impact this may have on mental health”.
[108] “It is not possible to attribute causality in either direction from the findings in these studies. This means it is not known whether the children who persisted were those with the most intense incongruence and hence more likely to socially transition, or whether social transition solidified the gender incongruence”
[109] “However, currently there is little evidence that ST per se increases the odds of later medical transition. Whereas there appears to be a correlation between childhood ST and persistence [2], it is not clear how this correlation can be Explained”.
[110] “The initial stage of the therapeutic process, known as the ‘social transition,’ involves permitting the adolescents to live in their own affirmed gender, informing individuals within the child/adolescent’s social circle about their decision to embark on a gender transition”.
[111] “Another reason we recommend against early transitions is that some children who have done so (sometimes as preschoolers) barely realize that they are of the other natal sex. They develop a sense of reality so different from their physical reality that acceptance of the multiple and protracted treatments they will later need is made unnecessarily difficult. Parents, too, who go along with this, often do not realize that they contribute to their child’s lack of awareness of these consequences”.
[112] “The primary aim is for the child and, if necessary, the family to function better. If these problems have contributed to causing or keeping up some gender dysphoria, the dysphoria will likely disappear by tackling these other problems”.
[113] “Parents are advised to adopt an attitude of watchful waiting”.
[114] “This is a controversial issue, and divergent views are held by health professionals. The current evidence base is insufficient to predict the long-term outcomes of completing a gender role transition during early childhood”.