Position paper delle società pediatriche italiane: domanda sulla diminuzione del rischio suicidio – parte 4
Dalla lettera aperta di GenerAzioneD alle 5 società scientifiche italiane – Accademia Italiana di Pediatria, Società Italiana di Pediatria, Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica, Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza, Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza – che il 18 aprile hanno pubblicato sull’Italian Journal of Pediatrics il position paper “Adolescent gender dysphoria management”
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DOMANDA n. 4
Sulla diminuzione del rischio suicidario conseguente alla soppressione della pubertà
Società scientifiche italiane
“Risultati positivi simili sono stati osservati in altri paesi, tra cui il Regno Unito e gli Stati Uniti. Uno studio basato su un sondaggio condotto su 20.619 adulti transgender negli Stati Uniti ha rilevato che coloro che hanno ricevuto la soppressione della pubertà avevano probabilità inferiori di ideazione suicidaria nel corso della vita rispetto a coloro che desideravano la soppressione della pubertà ma non l’hanno ricevuta [70]”[59].
ANNOTAZIONE di GenerAzioneD sulla bibliografia menzionata:
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Nota n. 70: La fonte citata a sostegno di quanto affermato richiama lo studio di Wiepjes C. M., Nota N. M., de Blok C. J. M., Klaver M., de Vries A. L. C., Wensing- Kruger S. A., de Jongh R. T., Bouman M.B., Steensma T. D., Cohen-KeYenis P., Gooren L. J. G., Kreukels B. P. C., den Heijer M. (2018) denominato “The Amsterdam cohort of gender dysphoria study (1972–2015): Trends in prevalence, treatment, and regrets”. Tale studio in realtà non ha esaminato i 20.619 adulti menzionati, né ha confrontato i due gruppi di giovani indicati nel documento, ma riporta invece le seguenti conclusioni: “Abbiamo riscontrato che la prevalenza delle persone transgender trattate è aumentata in modo esponenziale. A causa di questa popolazione in crescita, è necessario che i fornitori di assistenza sanitaria anche al di fuori delle cliniche universitarie siano a conoscenza del GD e del suo trattamento, perché l’HT (Hormone Therapy, ndr) può influenzare il decorso di diverse malattie e interagire con diversi tipi di farmaci. Abbiamo anche scoperto che di tutte le persone transgender trattate con HT, circa il 22% ha mantenuto le gonadi in situ. Queste persone richiedono un’attenzione particolare, perché gli effetti a lungo termine della HT su testicoli, ovaie e utero non sono ancora stati accertati. Questi argomenti e altre possibili complicazioni, come il rischio di cancro, sono oggetto di ulteriore ricerca”[60].
Si ritiene invece che gli estensori avessero voluto richiamare lo studio di Turban J. L., King D., Carswell J. M., Keuroghlian A. S. denominato “Pubertal suppression for transgender youth and risk of suicidal ideation” e pubblicato nel 2020.
The Cass Review
(Final Report – aprile 2024)
“Come discusso nella Parte 3, è risaputo che i bambini e i giovani con disforia di genere corrono un rischio maggiore di suicidio, ma il rischio di suicidio sembra essere paragonabile a quello di altri giovani con una presentazione simile di problemi di salute mentale e psicosociali. Alcuni medici si sentono sotto pressione nel sostenere un percorso medico sulla base dell’opinione diffusa che il trattamento che afferma il genere riduca il rischio di suicidio. Questa conclusione non è stata supportata dalla revisione sistematica di cui sopra”[61] (pag. 186).
“Tragicamente le morti per suicidio tra le persone trans di tutte le età continuano a essere al di sopra della media nazionale, ma non ci sono prove che i trattamenti di affermazione di genere riducano questo dato.
Le prove disponibili suggeriscono che questi decessi sono legati a una serie di altri fattori psicosociali complessi e a malattie mentali”[62] (pag. 195).
“È stato suggerito che il trattamento ormonale riduca l’elevato rischio di morte per suicidio in questa popolazione, ma le prove trovate non supportano questa conclusione”[63] (pag. 33).
“Tuttavia, nella maggior parte degli studi c’erano grossi problemi metodologici, il più grande dei quali era l’incapacità di controllare adeguatamente la presenza di comorbilità e trattamenti psichiatrici, tanto che non è stato possibile trarre conclusioni definitive”[64] (pag. 186).
“Un articolo britannico (Lavender et al., 2023) che riportava un’analisi retrospettiva su 38 bambini che avevano ricevuto bloccanti della pubertà seguiti da ormoni mascolinizzanti/femminilizzante ha osservato che la suicidalità e l’autolesionismo hanno mostrato una diminuzione generale. Tuttavia, c’erano 109 partecipanti idonei e dei 38 inclusi nello studio solo 11 avevano completato le domande su suicidio/autolesionismo, rendendo questa osservazione errata”[65] (pag. 186).
“Un documento della clinica di genere belga ha riportato cinque morti per suicidio tra 177 pazienti adolescenti di età compresa tra 12 e 18 anni visitati tra il 2007 e il 2016 (Van Cauwenberg et al., 2021). Tutti e cinque avevano iniziato ad assumere ormoni mascolinizzanti/femminilizzanti”[66] (pag. 186).
“Un altro articolo recente (Ruuska, 2024), ha confrontato le morti per suicidio tra i giovani che erano stati visitati nel servizio nazionale finlandese per questioni di genere con gruppi di controllo di coetanei. Lo studio non ha trovato un legame statisticamente significativo tra il trattamento ormonale e la riduzione del rischio di suicidio. Tuttavia, è stata riscontrata una relazione statisticamente significativa tra un alto tasso di problemi di salute mentale concomitanti e un aumento dei suicidi”[67] (pag. 186-187).
“In sintesi, le prove non supportano adeguatamente l’affermazione secondo cui il trattamento di affermazione del genere riduce il rischio di suicidio. Tuttavia, il disagio è reale per questi bambini e giovani, alcuni dei quali credono fortemente nell’efficacia sia dei bloccanti della pubertà che degli ormoni mascolinizzanti/femminilizzati… Pertanto, il timore che un accesso ritardato alle cure mediche possa portare a pensieri e comportamenti suicidari rimane elevato nei genitori e nei medici, e questo indipendentemente da quanto le cure si dimostrino efficaci una volta avutovi accesso”[68] (pag. 187).
European Academy of Paediatrics (EAP)
(Documento del 5 febbraio 2024)
“La questione fondamentale, se i trattamenti biomedici (inclusa la terapia ormonale) per la disforia di genere siano efficaci, rimane controversa. Sebbene lo studio originale di de Vries fosse convincente, altri ne hanno messo in dubbio l’efficacia e, come sottolinea Clayton, “non esistono prove empiriche solide che i bloccanti della pubertà riducano la suicidalità o i tassi di suicidio”[69].
CONSIDERAZIONI di GenerAzioneD
Lo studio menzionato nel documento, che ha esaminato una platea di 20.619 americani transgender, è fra gli studi più contestati nel panorama scientifico in ambito di trattamento della disforia.
I motivi sono molteplici. Innanzitutto, la platea è stata reclutata da un campione di convenienza, in gran parte attraverso gruppi di supporto transgender, il che ha portato a escludere tutti coloro che, avendo desistito o detransizionato, sono usciti dal circuito delle associazioni transgender e che presumibilmente non hanno ottenuto soddisfazione dal trattamento.
Il difetto di campionatura è ancor più evidente se si analizzano nel dettaglio le composizioni del gruppo di analisi e del gruppo di controllo. Il primo gruppo è formato dai soggetti che hanno chiesto e ottenuto gli ormoni bloccanti della pubertà (triptorelina), mentre il secondo gruppo, quello di controllo, è formato da quei soggetti che hanno cercato di accedere alla cura, ma non ci sono riusciti.
L’intento degli autori è chiaro: cercare di confrontare due gruppi omogenei (adolescenti che desiderano gli ormoni) e dimostrare che chi ha assunto gli ormoni ha tratto beneficio dalla terapia, rispetto a coloro che non ne hanno avuto accesso.
È evidente, però, che il gruppo di controllo è stato individuato in modo altamente fuorviante, in quanto non attribuisce rilevanza alle ragioni per cui quelle persone non sono riuscite a farsi prescrivere la cura ormonale. Oltre che all’assenza di consenso genitoriale, le ragioni del mancato accesso alla terapia in molti casi attengono allo stato di salute mentale iniziale del soggetto o alla presenza di altre comorbilità che impediscono l’accesso alla terapia. È facilmente intuibile che un soggetto con problemi di salute mentale o affetto da più comorbilità sia maggiormente esposto al rischio di suicidio, rispetto a una platea di soggetti privi di tali condizioni di disagio, ammessi quindi senza indugio alle cure ormonali.
È chiaro che tale scelta metodologica, seppur giustificata da ragioni tecniche, non possa che limitare gli esiti della ricerca. Tale studio, infatti, non ha confrontato realmente due alternative distinte (effettuare o non effettuare la terapia ormonale per ridurre il rischio di suicidio), ma si è limitato a confrontare i soggetti ammessi a una determinata selezione e quelli scartati.
Lo studio, inoltre, riferisce esclusivamente in merito alla riduzione dei “pensieri suicidi” e alla cosiddetta “suicidalità”, non considerando affatto le misure più gravi come il suicidio effettivo, la pianificazione del suicidio, il tentativo di suicidio o il tentativo di suicidio con necessità di ricovero in ospedale, tutti elementi che possono condizionare profondamente e persino invertire i risultati della ricerca. Il fatto, riconosciuto dagli stessi autori, di non essere “stati in grado di acquisire informazioni relative ai suicidi completati”[70], priva lo studio del dato più importante: quante persone si sono suicidate durante o dopo la cura ormonale? Anche un solo caso avrebbe probabilmente prodotto un’inversione degli esiti finali dello studio.
In buona sostanza, le conclusioni della Cass Review e dell’EAP sembrano concordare con Sapir, secondo il quale “nulla negli studi di Turban può confutare la possibilità che il miglioramento della salute mentale fosse il risultato di qualcosa di diverso dalla soppressione medica della pubertà”[71].
Se l’aumento del tasso di suicidio sia riconducibile alla condizione disforica o collegato ad essa oppure no, rappresenta l’elemento centrale della questione, in quanto è sulla base di tale preoccupazione che i genitori si trovano a decidere se autorizzare o meno l’uso dei bloccanti della pubertà sul proprio figlio. Dal momento che su tale aspetto sia la Cass Review che il documento dell’Accademia dei Pediatri Europei sono stati critici asserendo che non esistono prove affidabili a sostegno di tale affermazione – per quale motivo si decide di veicolare un’asserzione così determinante ai fini dell’ottenimento del consenso parentale, dando rilevanza solo a uno studio considerato di scarsa qualità[72] e molto contestato per gravi difetti metodologici, presenza di molteplici bias, errori di campionatura, omissione di variabili di controllo chiave e confusione nelle deduzioni, omettendo invece ogni menzione alla recente letteratura che non conferma tale ipotesi?
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[59] “Similar positive outcomes have been observed in other countries, including the United Kingdom and the USA. A survey-based study on 20,619 transgender adults in the USA found that those who received puberty suppression had lower odds of lifetime suicidal ideation compared to those who desired puberty suppression but did not receive it [70]”.
[60] “We found that the prevalence of treated transgender people increased exponentially. Because of this growing population, it is necessary that health care providers outside university clinics also have knowledge about GD and its treatment, because HT can influence the course of several diseases and interact with several types of medication. We also found that of all transgender people treated with HT, approximately 22% kept their gonads in situ. These people require special attention, because the long-term effects of HT on the testes, ovaries, and uterus are not established. These topics and other possible complications, such as cancer risks, are subjects for further research”.
[61] “As discussed in Part 3, it is well established that children and young people with gender dysphoria are at increased risk of suicide, but suicide risk appears to be comparable to other young people with a similar range of mental health and psychosocial challenges. Some clinicians feel under pressure to support a medical pathway based on widespread reporting that gender-affirming treatment reduces suicide risk. This conclusion was not supported by the above systematic review”.
[62] “Tragically deaths by suicide in trans people of all ages continue to be above the national average, but there is no evidence that gender-affirmative treatments reduce this. Such evidence as is available suggests that these deaths are related to a range of other complex psychosocial factors and to mental illness”.
[63] “It has been suggested that hormone treatment reduces the elevated risk of death by suicide in this population, but the evidence found did not support this conclusion”.
[64] “However, there were major methodological problems in most of the studies, with the biggest problem being a failure to adequately control for the presence of psychiatric comorbidity and treatment, such that no firm conclusions could be drawn”.
[65] “A UK paper (Lavender et al., 2023) reporting a retrospective analysis of 38 children who had received puberty blockers followed by masculinising/feminising hormones noted that suicidality and self-harm showed a general decrease. However, there had been 109 eligible participants, and of the 38 included in the study only 11 had completed the suicidality/self-harm questions, rendering this observation flawed”.
[66] “A paper from the Belgium gender clinic reported five deaths by suicide among 177 adolescents’ clients aged 12-18 years who were seen between 2007 and 2016 (Van Cauwenberg et al., 2021) All five had commenced on masculinising/feminising hormones”
[67] “Another recent paper (Ruuska, 2024), compared deaths by suicide in young people who had been seen in the Finnish national gender service with age-matched controls. The study also did not find a statistically significant link between hormone treatment and reduced risk of suicide. However, there was a statistically significant relationship between a high rate of co-occurring mental health difficulties and increased suicide”.
[68] “In summary, the evidence does not adequately support the claim that gender affirming treatment reduces suicide risk. However, the distress is real for these children and young people, some of whom hold strong beliefs about the efficacy of both puberty blockers and masculinising/feminising hormones. …. Thus, fear that delayed access to medical treatment may lead to suicidal thoughts and behaviours remains high in parents and clinicians, and this is regardless of how effective the treatments may be once accessed”.
[69] “The fundamental question of whether biomedical treatments (including hormone therapy) for gender dysphoria are effective remains contested. Although de Vries’ original study was persuasive, others have questioned efficacy, and as Clayton highlights, “there is no robust empirical evidence that puberty blockers reduce suicidality or suicide rates”.
[70] “We were unable to capture informa2on regarding completed suicides” in Turban et al. (2020).
[71] Sapir L. (2022). “Pediatric Gender Medicine and the Moral Panic Over Suicide”, in Reality’s last stand.
[72] Florian D. Zepf, Laura König, Anna Kaiser, Carolin Ligges, Marc Ligges, Veit Roessner, Tobias Banaschewski, and Martin Holtmann (2024). “Beyond NICE: Aktualisierte systema2sche Übersicht zur Evidenzlage der Pubertätsblockade und Hormongabe bei Minderjährigen mit Geschlechtsdysphorie” in Zeitschri| für Kinder- und Jugendpsychiatrie und Psychotherapie, feb. 2024.