Autonomia del paziente o responsabilità medica?
Pubblichiamo la traduzione di un articolo di Eliza Mondegreen, pubblicato sul sito Genspect.org il 6 febbraio 2024
Ultimamente si è parlato molto del protocollo olandese, finalmente sottoposto ad un esame approfondito, dopo “solo” 20 anni in cui questo approccio al trattamento dei ragazzi con disforia di genere si è diffuso in tutto il mondo.
Un gruppo di medici olandesi ha partecipato alla conferenza della World Professional Association for Transgender Health (WPATH) a Montreal lo scorso settembre, durante la quale ha presentato i risultati del primo studio longitudinale che ha seguito un gruppo di pazienti teenagers fino ai 35 anni circa – nonostante, come tanti altri studi in quest’ambito, lo studio soffra di alti tassi di abbandono. Meno del 50% dei pazienti idonei ha partecipato allo studio di follow-up.
I medici olandesi hanno dichiarato di essere interessati a verificare se i pazienti che avevano effettuato la transizione da bambini e adolescenti avessero sperimentato, nel corso del tempo, mutamenti nell’identità di genere, nell’orientamento sessuale e nel desiderio di avere figli. I ricercatori hanno chiesto se i pazienti continuassero a identificarsi come “trans binari” o se la loro identità fosse ora più “fluida”. Hanno scoperto che il 18% dei bambini e il 31% degli adolescenti hanno sperimentato “molteplici attenuazioni” della propria identità di genere nel tempo. Le “molteplici attenuazioni” raggruppano di proposito l’identificazione trans/non binaria con la detransizione, in modo che non si debbano riportare i numeri delle detransizioni. Ciò ha permesso ai ricercatori di riferire allegramente la profusione di identità di genere che i loro pazienti avevano adottato nel corso degli anni, da “elfo” a “fata” a “donna amichevole e non intimidatoria” e contemporaneamente a nascondere la scomoda realtà: che alcuni pazienti hanno effettuato la detransizione.
Per quanto riguarda l’orientamento sessuale, molti pazienti hanno riferito cambiamenti nel corso del periodo di studio. All’inizio i pazienti erano attratti quasi esclusivamente da persone dello stesso sesso. Ma dopo essere stati sottoposti a soppressione della pubertà, ormoni sessuali incrociati e altri interventi, una quota considerevole di pazienti di sesso femminile e un piccolo gruppo di pazienti di sesso maschile hanno riferito un cambiamento nell’orientamento sessuale.
Dei pazienti che i ricercatori sono effettivamente riusciti a seguire, più di uno su quattro (27%) ha affermato di rimpiangere il fatto che la transizione di genere lo avesse reso sterile. Un ulteriore 11% ha dichiarato di non essere sicuro di come si sentisse riguardo alla perdita della fertilità. Il 56% dei pazienti ha detto che ora vorrebbe dei figli, e molti hanno affermato che hanno cambiato idea rispetto a quando erano bambini. Il 21% dei pazienti ha dichiarato di essere stato semplicemente troppo giovane per capire le conseguenze, quando, preadolescente o adolescente, ha intrapreso la transizione medica.
Ora, a distanza di anni, attorniati da prove di rimpianti e danneggiamenti, i medici olandesi hanno scherzato dicendo che “non gli interessano le previsioni”. Una ricercatrice ha detto: “Posso prevedere come mi sentirò tra un minuto – ancora nervosa! – ma non posso prevedere come mi sentirò domani”. Il pubblico rideva.
Ma non fa ridere. Siamo di fronte ad un adulto che, a un convegno, fa dell’ironia sul fatto che non può sapere come si sentirà domani – d’altronde potrebbe succedere di tutto nel frattempo! – per glissare sull’evidenza che bambini e adolescenti in sofferenza non sono in grado di dare il consenso a qualcosa che li condizionerà per il resto della loro vita.
Nel contesto di una conferenza che spesso si è trasformata in pura follia – come l’approvazione delle “cure di affermazione del genere” per gli eunuchi e le persone che rivendicano personalità multiple – questa particolare sessione del WPATH è stata sobria e simil ragionevole. Per questo era agghiacciante.
In tutto il mondo, i medici di genere si rifanno agli olandesi. E gli olandesi non hanno idea di quello che fanno, non l’hanno mai avuta e non l’avranno mai. Circostanze fuori dal loro controllo li costringono a parlare di rimpianti e detransizione e tutto ciò che riescono a dire è: “Il rispetto dell’autonomia di una persona include il diritto di prendere una decisione di cui in seguito potrebbe pentirsi”.
Se questi medici stessero parlando di tatuaggi, sarei d’accordo. Ma parlano di interventi irreversibili con conseguenze permanenti effettuati su minori in nome della medicina.
Naturalmente, questi medici preferiscono parlare di autonomia del paziente piuttosto che di responsabilità medica. Naturalmente, si rifiutano di tradurre “alcuni pazienti hanno cambiato idea in seguito/hanno sperimentato molteplici attenuazioni del loro genere” (quadro dell’autonomia) in “abbiamo danneggiato i pazienti” (quadro della responsabilità medica).
Ogni giorno da quando è andato in onda (quasi un anno fa!) penso all’episodio di “Gender: A Wider Lens” nel quale Sasha Ayad e Stella O’Malley spronano Thomas Steensma e Annelou De Vries a esplorare aspetti che non avevano mai nemmeno considerato.
Una delle sensazioni che non mi levo di dosso è che questi medici nutrissero aspettative molto basse per i loro pazienti. In pratica, si chiedono: perché dovremmo aspettarci che queste persone abbiano relazioni significative o che stiano bene nei corpi che abbiamo trasformato perché erano scontenti dei loro? Si ponevano come se fosse ingiusto pretendere esiti migliori, con questo intendo ingiusto nei confronti dei medici, non dei pazienti. Invece, ascoltiamo queste strane disquisizioni sul “rimpianto” (al sicuro tra le virgolette). Cosa significa che un paziente “rimpiange” di essersi sottoposto a interventi chirurgici e regimi ormonali non necessari dal punto di vista medico e che alterano/limitano la vita? De Vries e Steensma vogliono che riformuliamo il nostro pensiero sul significato di “rimpianto”. È “troppo binario” dire che un paziente “rimpiange” o non rimpiange di essersi sottoposto a un intervento chirurgico. (Forse basta “mandare all’aria” il nostro concetto di buon risultato medico!)
Se medici come Steensma e De Vries potessero dirigere la conversazione sul rimpianto e sulla detransizione, si parlerebbe solo di autonomia (in altre parole, sono stati commessi degli errori, ma non da me).
Hai seguito un percorso medico che ti ha portato all’infertilità e 10/15 anni dopo ti rendi conto che è un problema per te. Quella scoperta non è forse parte del tuo “viaggio di genere”, del processo di scoperta di te stesso?
Eppure i cattivi siamo noi, che insistiamo sul fatto che le persone con disforia di genere meritano di meglio, che crediamo che ogni bambino che lotta con la disforia di genere possa diventare grande e condurre una vita piena e significativa, che i medici non dovrebbero circoscrivere il futuro dei bambini sperimentando su di loro a livello medico. Ditemi come può aver senso.