La psicoterapeuta americana Marchiano incontra i genitori italiani: ‘Ecco come siamo arrivati al punto di sterilizzare i bambini’

Venerdì 3 Marzo si è tenuto a Roma il primo evento organizzato – in forma privata e ristretta -dall’associazione GenerAzioneD. L’evento è stato organizzato in occasione del passaggio in Italia della dott.ssa Lisa Marchiano, una psicanalista junghiana e scrittrice americana che fa parte del team di specialisti che compongono GETA (Gender Exploratory Therapy Association) e che lavora da anni con genitori di giovani con disforia di genere, e con ragazzi o giovani adulti disforici, transgender e detransitioner.
Alla presenza di una ventina di genitori, la dottoressa Marchiano ha parlato di detransizione e del cosiddetto modello affermativo, rispondendo alle domande che le abbiamo posto.
Riportiamo di seguito il suo intervento.

Come siamo arrivati a questo punto?

Mi chiamo Lisa Marchiano. Sono una psicoterapeuta e analista junghiana americana. Lavoro con famiglie e giovani affetti da disforia di genere dal 2016. Nel 2021, insieme a diversi colleghi, ho fondato la Gender Exploratory Therapy Association. La GETA è un’organizzazione internazionale che riunisce terapeuti scettici in merito alla affrettata affermazione dei giovani che si identificano come trans. Accogliamo i terapeuti di tutto il mondo che vogliono unirsi a noi. Offriamo anche un elenco pubblico di terapeuti per chi cerca una terapia esplorativa rispetto al genere.
Condividerò il caso di una giovane donna che ha effettuato la detransizione e offrirò le mie riflessioni sul cosiddetto modello affermativo di cura, ma prima volevo fornire una panoramica di come siamo arrivati a questo punto.

Come siamo arrivati al punto di dire ai bambini che possono cambiare sesso? Come siamo arrivati al punto di rendere sterili i bambini, soprattutto quelli gay/lesbiche e autistici?

Come siamo arrivati al punto in cui i terapeuti non sanno più cosa sia la terapia e ritengono di dover semplicemente firmare l’autodiagnosi di un paziente? Come siamo arrivati al punto che i genitori non si fidano dei professionisti? Come siamo arrivati al punto che i professionisti temono per la loro sopravvivenza se parlano?
Molte persone mi hanno posto queste domande da quando, nel 2016, ho iniziato a interessarmi a questo tema.

Credo che le risposte siano complesse, ma ci sono alcuni elementi che sono confluiti in una terribile “tempesta perfetta”.

Nuove tecnologie mediche
Il Lupron è stato approvato per la prima volta nel 1993 per la pubertà precoce. I medici olandesi lo usarono per la prima volta per ritardare la pubertà dei bambini con disforia di genere qualche anno dopo.  Questo ha dato ai medici il potere di manipolare i corpi in via di sviluppo dei bambini. I progressi nelle tecniche chirurgiche per la riassegnazione di genere hanno aumentato le opzioni per coloro che cercano di presentarsi come appartenenti al sesso opposto.
 
Nuove ideologie
Un tempo la disforia di genere era trattata come una condizione di salute mentale, ma gli attivisti hanno effettivamente trasformato lo status di trans in una questione di diritti umani. Nelle parole dell’autrice Helen Joyce, “nel corso del tempo, un’eccezione legale per pochi individui sofferenti è diventata un diritto a ricevere ormoni cross-sessuali e ad effettuare interventi chirurgici di modifica del corpo, e ad essere trattati su loro richiesta come appartenenti al sesso opposto”.

Una condizione di salute mentale richiede una procedura diagnostica per essere verificata. Tale verifica è necessaria per evitare di offrire al paziente un trattamento sbagliato.

Una volta che la disforia di genere è diventata sinonimo di trans, è scivolata nella categoria dei diritti umani e il rifiuto ad affermare immediatamente la nuova identità è stato visto come un atto di bigottismo invece che come una cura terapeutica responsabile.

I social media
Sofocle ha osservato che “nulla di vasto entra nella vita dei mortali senza una maledizione”. Internet e i social media hanno cambiato radicalmente il modo in cui siamo connessi e in cui le idee vengono diffuse. Temo che stia diventando evidente che, con la stessa rapidità con cui Internet può diffondere le buone idee, può diffondere quelle cattive.

La crescita dei giovani che si identificano come transgender ha corrisposto all’avvento degli smartphone e delle piattaforme di social media come tumblr, reddit e, più recentemente, TikTok.

Contagio sociale
La maggior parte di noi è intuitivamente consapevole di quanto gli adolescenti siano suscettibili alle influenze dei loro coetanei, soprattutto le ragazze. Il contagio sociale è stato studiato dagli scienziati sociali per quasi 150 anni. Oggi sappiamo che tutto, dal divorzio al fumo, dalla felicità all’ottimismo, è soggetto all’influenza dei coetanei. Il filosofo canadese Ian Hacking ha coniato il termine “contagio semantico” per descrivere il processo per cui dare un nome a qualcosa rende più probabile la sua adozione e diffusione. A causa della loro natura soggettiva, le condizioni di salute mentale sono particolarmente inclini a questo fenomeno. Secondo lo psicoanalista britannico David Bell
“L’esistenza di un trattamento crea la malattia. Un buon centro per la polmonite non creerebbe altri casi di polmonite. Mentre con la ‘sindrome della falsa memoria’, negli anni Novanta, si sono avuti improvvisamente molti casi. È successo lo stesso quando Freud ha scritto dell’isteria.
Quindi penso che siamo di fronte ad un gruppo che, un tempo, sarebbe stato anoressico. Molti di loro sono diventati autolesionisti, avevano una personalità borderline e poi sono diventati transgender. Si tratta quindi di persone che hanno a che fare con problemi simili, ma che vengono rifratti attraverso la lente di ciò che accade nella cultura”.

A causa di questi e altri fattori, siamo arrivati a un punto in cui molte persone credono appassionatamente di aiutare i bambini, mentre in realtà li danneggiano.

Negli Stati Uniti ci sono più di 700 cliniche di genere per bambini, dove adolescenti e giovani adulti possono ricevere la prescrizione di ormoni sessuali del genere opposto e i loro genitori sono costretti ad assecondarli. Un recente rapporto di un informatore interno di una clinica di genere nello stato americano del Missouri ha tristemente confermato i peggiori timori che molti di noi hanno avuto da quando sono venuti a conoscenza di questo scandalo medico in corso: secondo l’informatore, ai bambini venivano somministrati ormoni a prescindere dal loro stato di salute mentale. I genitori venivano ingannati e intimiditi, e chi riceveva questi trattamenti spesso vedeva peggiorare la propria salute mentale.

Solzhenitsyn ha scritto che “per fare il male, un essere umano deve prima di tutto credere che ciò che sta facendo sia buono”.

Non ho dubbi che la maggior parte dei medici e dei terapeuti che offrono trattamenti di alterazione del corpo ad adolescenti mentalmente malati credano di fare del bene. Questo è il potere accecante dell’ideologia.

I genitori con un figlio coinvolto in questo vasto fenomeno culturale si trovano spesso soli. Se non si precipitano immediatamente ad affermare la propria figlia, medici, terapisti, amministratori scolastici e altri possono accusarli di essere “transfobici”. Possono vedere la loro preziosa figlia avviarsi verso la medicalizzazione a vita, mentre gli amici fanno il tifo per lei. Tuttavia, i genitori di tutto il mondo si stanno organizzando. Negli ultimi anni sono nate nuove organizzazioni come Genspect, GETA e la Society for Evidence Based Medicine. Ogni giorno vengono presentate nuove prove. Anche negli Stati Uniti, i media mainstream di sinistra hanno iniziato a prendere nota. Charles McKay ha notato che “gli uomini impazziscono in branco, mentre recuperano il senno solo lentamente, uno alla volta”. Sono molto felice di poter partecipare a questo evento inaugurale di GenerAzioneD. Spero che questo possa contribuire ad aiutare più persone a recuperare il proprio senno.

La realtà e il modello di trattamento affermativo

Oggi parlerò della realtà. Il dizionario mi dice che la realtà è “lo stato delle cose così come esistono realmente, in contrapposizione a un’idea idealistica o fittizia di esse”.  Lo psicologo Robert Jay Lifton, noto per il suo lavoro sulle sette, ha sottolineato che ciò che chiamiamo realtà ha due aspetti. Una parte si riferisce a ciò che è socialmente costruito e condiviso nella società. Per esempio, crediamo che i bambini non siano pienamente adulti fino ai 18 anni. Questa realtà può cambiare con il mutare delle norme culturali. Ma ci sono anche “componenti immediate e fattuali della realtà, che non dipendono in alcun modo da costruzioni teoriche”. (Lifton, p. 8). Quando qualcuno ha una rottura con la realtà immediata e fattuale, può avere deliri o allucinazioni e noi lo consideriamo psicotico, uno stato estremo di malessere mentale. Secondo Lifton, “per il nostro funzionamento collettivo in democrazia abbiamo bisogno di un senso condiviso della realtà, coerente con l’esperienza e l’evidenza”. (p. 8)
Cosa succede quando perdiamo questo senso condiviso della realtà? Sono particolarmente interessata all’effetto che questo ha su di noi dal punto di vista psicologico e la mia tesi, piuttosto ovvia, è che non ci porta verso una maggiore salute psicologica. Staccarsi dalla realtà ostacola la nostra capacità di funzionare e di navigare nel mondo nel modo più elementare. Gli effetti di un distacco dalla realtà sono sia bruschi che sottili, immediati e a lungo termine. Oggi affronterò questo tema facendo riferimento al caso di una giovane donna che ha effettuato la detransizione, con la quale ho lavorato. Prima però vorrei condividere la storia di una madre.
 
La storia di una madre

La madre di una ragazzina di 13 anni, che improvvisamente aveva dichiarato un’identità transgender, ha seguito le raccomandazioni dei professionisti e la saggezza comune offerta dai media e dal gruppo di coetanei del suo quartiere liberale e ben istruito. Ha cambiato il nome e i pronomi della figlia, le ha comprato un binder e un nuovo guardaroba e ha iniziato ad adattarsi alla vita di madre di un ragazzo transgender. Anche se lo ha fatto con il sostegno di amici, familiari e di una nuova comunità di altri genitori di bambini trans, ha misteriosamente sviluppato forti vertigini. Mentre era solita fare passeggiate quotidiane con gli amici, si era trovata poi nell’impossibilità di farlo. A volte provava un fastidioso senso di disorientamento.  “All’improvviso non riuscivo a capire come vivessero gli alberi”, mi ha detto. “Non riuscivo a capire come si allungassero verso il cielo e come le loro radici fossero in grado di tenerli giù”. Ha descritto il malessere come la sensazione di non avere la terra sotto i piedi.  Le vertigini erano così forti che ora aveva bisogno di essere accompagnata quando portava a spasso il cane di famiglia. I sintomi continuarono fino a quando non lesse “Danno irreversibile” di Abigail Shrier. Nel giro di pochi giorni, dopo una serie di esami medici, la madre si rese conto che non c’era una causa organica per le sue vertigini. Piuttosto, le vertigini erano un sintomo somatico e simbolico che evidenziava il profondo disorientamento che provava nel tentativo di negare la realtà.
 
Ora vorrei parlare del caso di una giovane donna che ha effettuato la detransizione. Condivido il suo materiale con il suo permesso e ho modificato i dettagli che la potrebbero identificare.
 
La storia di Maya

Maya ha iniziato a venire da me all’età di 22 anni. I genitori di Maya erano professionisti istruiti. Secondo Maya, a casa sua si scherzava sul fatto che sua madre Elena non fosse tagliata per la maternità. Aveva interrotto precipitosamente il suo congedo di maternità appena due settimane dopo la nascita di Maya per tornare al suo lavoro impegnativo, mandando la zia a prendersi cura della bambina.
La zia Mary aveva un appartamento sopra il garage e Maya la ricorda calda e affettuosa. Maya amava la cucina di Mary e spesso dormiva con lei perché aveva paura di dormire da sola. Entrambi i genitori erano assorbiti dalle loro carriere e Maya ha pochi ricordi di loro, a parte i pasti in famiglia che la madre organizzava un paio di volte durante la settimana. Elena si interessava alle lezioni di danza di Maya, ma la zia Mary si occupava di lei quotidianamente.
Quando Maya aveva nove anni, zia Mary morì improvvisamente. A Maya non fu permesso di partecipare al funerale perché i genitori ritenevano che fosse meglio che Maya non “rimuginasse sulla perdita” e la incoraggiarono ad “andare avanti”. Una serie di babysitter sostituì rapidamente la zia Mary e la vita continuò “come al solito”. Maya mantenne un forte legame con i suoi coetanei della scuola di danza fino all’età di 12 anni; ebbe difficoltà nel passaggio alla scuola media e i cambiamenti puberali causarono un significativo sviluppo del seno. Abbandonò la danza. Elena, esile e minuta, “preoccupata” per il corpo rotondeggiante di Maya, la incoraggiò a mettersi a dieta. Maya scoprì che era in grado di abbuffarsi e di liberarsi del cibo vomitandolo. Iniziò anche a fare fatica a scuola e acquisì la reputazione di “studentessa problematica”. Le carenze di attenzione da parte dei genitori e la perdita della zia Mary furono peggiorate dai cambiamenti fisici e scolastici, e dall’assenza di sostegno emotivo a casa. Sentendosi emarginata e indegna, Maya si isolò e passò sempre più tempo online.
Il tempo trascorso sui social media alimentò una rimuginazione sull’identità. Quando confidò ad alcuni amici online di essersi chiesta se potesse essere trans, perché si sentiva a disagio nel suo corpo, i suoi amici sui social media sono furono pronti ad affermarla e a festeggiarla. Maya si tagliò i capelli corti da ragazzo e ha iniziò a indossare jeans e felpe oversize. Nella sua vita online adottò un nome maschile: Archer.
A 14 anni, Maya annunciò alla madre di essere trans e di voler vedere un terapeuta di genere per iniziare a prendere gli ormoni. Sebbene in un primo momento fosse contraria, alla fine Elena la accompagnò a parlare con lo psicologo della scuola. Persino Maya è rimasta sorpresa dalla rapidità con cui la psicologa ha accettato di chiamarla Archer e ha confermato la sua identità trans. La psicologa concordò con Maya che la riluttanza di Elena ad approvare il trattamento ormonale era dannosa, e incoraggiò Elena ad affermare l’identità maschile di Maya e a sostenere la transizione medica.
I genitori di Maya non le permisero di iniziare il trattamento ormonale. Erano preoccupati per il lavoro e Maya dovette affrontare questo periodo tumultuoso per lo più da sola. L’attenzione materna si traduceva spesso nella critica verso il rifiuto di Maya di conformarsi alle aspettative sull’aspetto e sulla femminilità tradizionali. Elena dava un grande valore alle norme culturali sulla bellezza femminile: la figura, il trucco, i vestiti alla moda e i tacchi. Elena era orgogliosa degli elaborati abiti richiesti per le esibizioni di danza dell’infanzia di Maya. “Le piaceva vestirmi bene”, ricorda Maya. Elena trovava irritante la presentazione maschile di Maya: Maya non era più la figlia adorabile che poteva fungere da prolungamento narcisistico per Elena.
Poco dopo il suo 18° compleanno e ormai matricola al college, Maya si recò in una clinica per firmare il consenso informato per l’assunzione degli ormoni cross-sex. Dopo un incontro di 30 minuti con un’infermiera, le fu prescritto il testosterone. L’assunzione di testosterone la rese inizialmente euforica. Tuttavia, Maya ricorda il periodo in cui assunse il testosterone come difficile e disorientante. Si arrabbiava facilmente e si isolava nel dormitorio del college. Poiché frequentava raramente le lezioni ed era preoccupata da questioni diverse da quelle accademiche, i suoi voti erano scarsi. Ha abbandonato l’università all’inizio del secondo anno.
La salute mentale di Maya era peggiorata, forse anche a causa del testosterone. Ricorda di essere stata “ansiosa e arrabbiata” e di aver sperimentato intensi stati d’animo autodistruttivi. Venne ricoverata due volte per tentato suicidio. Alla fine Maya ha sospeso il testosterone perché sospettava che l’ormone contribuisse al peggioramento della sua salute mentale. Poco dopo, iniziò il processo di reidentificazione femminile e subito dopo iniziò il trattamento con me.
 
Capitolare sulla realtà

Secondo Ronald Fairbairn (1943), il bambino traumatizzato introietta un genitore idealizzato e un genitore persecutorio o assente, e si relaziona con loro a partire da due stati del sé corrispondenti. Per Maya, il rapporto con la madre idealizzata offriva la promessa illusoria di amore e cura, ma richiedeva il sacrificio della verità relazionale. Maya ricorda di aver cercato di raccontare agli altri adulti l’indifferenza e la freddezza della madre e di essere sempre stata rassicurata sul fatto che Elena le volesse bene. Questo è il patto che aveva fatto ripetutamente in passato: sacrificare la verità in cambio della speranza di amore e attenzione. Abbiamo capito che una dinamica simile era stata messa in atto durante la sua identificazione trans.

Maya aveva sacrificato la verità della sua conoscenza sulla sua biologia in cambio dell’appartenenza e del legame con la comunità trans.

Man mano che le dinamiche con la madre venivano messe a fuoco nel nostro lavoro, avevamo una comprensione più chiara della funzione difensiva dell’identità trans di Maya, che serviva a molteplici obiettivi inconsci.  Rifiutare la sua femminilità era un modo per rifiutare la madre e allo stesso tempo affermare la sua indipendenza e sfidare le aspettative della madre. Questo ha permesso a Maya di disconoscere il suo desiderio di essere come la madre e di essere amata e ammirata da lei, consentendole al contempo di essere la figlia obbediente, rispettando la regola non scritta secondo cui non deve mai superare la madre. Si trattava di un modo per non aderire al paradigma di attrattiva femminile della madre, e dava a Maya un modo per identificarsi con l’aggressore, agendo sulla “scorrettezza” del suo corpo. Proprio come la madre aveva imposto regimi dietetici restrittivi al corpo in crescita di Maya per cambiarlo e renderlo conforme alle sue aspettative arbitrarie, Maya ha imposto il testosterone e la legatura dei seni per cambiare il suo corpo e renderlo conforme alle sue aspettative arbitrarie. L’identificazione come trans ha anche spostato la dinamica del potere nel rapporto tra Maya ed Elena, permettendole di rivendicare una certa aggressività e autorità. Quando Maya cercava di parlare delle sue difficoltà con la madre da bambina, le sue preoccupazioni venivano spesso respinte o minimizzate. Ora, in qualità di vittima giusta e tormentata del bigottismo della madre, adulti e coetanei concordavano ad alta voce sul fatto che la madre di Maya fosse carente. Come uomo trans, le lamentele di Maya sulla madre sono state valorizzate e amplificate dallo psicologo della scuola e dai coetanei su Internet.
 
Approccio affermativo di genere

Quando Maya ha cercato una terapia dallo psicologo scolastico, è stata evidentemente trattata secondo il modello di terapia affermativa di genere. Il terapeuta ha affermato che Maya era un ragazzo e che aveva bisogno di una transizione sociale e medica. Il modello di assistenza affermativa di genere è stato sviluppato per la prima volta negli Stati Uniti ed è diventato il modo dominante di lavorare con gli adolescenti trans identificati in molti contesti negli Stati Uniti e altrove.  La psicologa Diane Ehrensaft definisce il modello affermativo di genere come “un metodo di approccio terapeutico che prevede di permettere ai bambini di parlare da soli della propria identità ed espressione di genere e di fornire loro il sostegno necessario per evolvere verso il loro autentico sé di genere, indipendentemente dall’età. Gli interventi comprendono la transizione sociale da un genere all’altro e/o l’evoluzione di espressioni e presentazioni non conformi al genere, nonché interventi medici di conferma del genere (bloccanti della pubertà, ormoni cross-sex, interventi chirurgici)”.
 
Per facilitare questo processo, il terapeuta “valuta lo status di genere del bambino” utilizzando strumenti di valutazione, osservazione, gioco, colloquio, dialogo o misure proiettive. Diane Ehrensaft riassume l’approccio affermativo di genere nel modo seguente: “Quando si tratta di conoscere il genere di un bambino, non sta a noi dirlo, ma ai bambini dirlo” (ibidem, p. 63).
Il modello affermativo prende per buona la dichiarazione del bambino o dell’adolescente sui sentimenti e i pensieri legati al genere. Incoraggia i genitori, la scuola e le altre autorità presenti nella vita del bambino ad accettare tali dichiarazioni.

Sebbene questo approccio sia stato ampiamente accettato, presenta notevoli difetti. Può precludere la riflessione sullo sviluppo di un giovane confondendo la disforia di genere con l’identificazione trans, e può concretizzare il desiderio di transizione di un adolescente senza un’esplorazione e una valutazione prolungate. Poiché la premessa di base del modello è che il genere è qualcosa che “il bambino deve dire”, ai fattori relazionali, sistemici, archetipici e sociali inconsci viene negata la rilevanza e l’esplorazione (Evans 2020).
L’identificazione trans di Maya è stata un tentativo di adattarsi a una serie complessa di fattori interrelati: il suo ambiente sociale a scuola e online; la dinamica tra lei e i suoi genitori; il rifiuto del suo corpo inculcato in parte dall’insistenza della madre sulla magrezza e sulla dieta; e il dolore non metabolizzato per la perdita di una figura di attaccamento primaria all’inizio della vita. Il trattamento affermativo ha affrontato il disagio superficiale ma ha lasciato poco spazio all’esplorazione di altri fattori, per cui il lavoro psicologico in queste aree importanti non ha preso piede fino a dopo la detransizione.

Il modello di cura affermativo può lasciare alcuni o tutti questi fattori psicologici non affrontati perché uno dei suoi principi fondamentali è che il ruolo del terapeuta è quello di affermare – o confermare – ciò che il paziente “sa” (Spiliadis 2019).

Questo principio è in diretta opposizione alle consuete e migliori pratiche psicoterapeutiche: il ruolo del terapeuta è quello di aprire lo spazio per l’esplorazione, per un pensiero più sfumato e per un’autocomprensione ampliata e approfondita. Per Maya, l’approccio affermativo sembra aver sostenuto una comprensione ristretta e superficiale del problema. È stata incoraggiata a credere che gli interventi fisici avrebbero risolto il suo dolore psichico, sostituendo così la possibilità di una sofferenza legittima e potenzialmente trasformativa con una soluzione concretizzata che promuoveva la dissociazione dal corpo.
 
La realtà

Il modello di cura affermativo poggia su una falsa premessa e incoraggia il paziente a prendere decisioni critiche per la salute sulla base di una convinzione che contraddice la realtà materiale. Questo modello presume l’esistenza dell’identità di genere e la privilegia rispetto alla realtà incarnata del bambino. Il sesso umano è binario e non può essere cambiato (Marinov 2020). L’identità di genere non è un concetto ben definito e manca di validità empirica. Nonostante gli sforzi per identificare i biomarcatori che potrebbero essere correlati alla disforia di genere, non sono state trovate prove solide. Il Gender Identity Development Service del Regno Unito, ad esempio, ha rilevato la normalità cromosomica dei propri pazienti (Butler et al 2018).

Sebbene l’espressione “nato nel corpo sbagliato” sia talvolta utilizzata per descrivere l’esperienza dell’incongruenza di genere, si tratta al massimo di una metafora, non di un fatto empirico.

Gli stessi clinici affermativi riconoscono la mancanza di basi materiali per l’identità di genere. Secondo i sostenitori dell’approccio affermativo, “intendiamo l’identità di genere, sia la sua corrispondenza che la sua mancata corrispondenza con il sesso assegnato alla nascita, come principalmente informata dalle cognizioni e dalle emozioni del bambino, piuttosto che dai genitali e dalle caratteristiche sessuali esterne osservabili” (Hidalgo et al 2013, p. 286). L’approccio affermativo, quindi, privilegia i pensieri e i sentimenti di un bambino o di una bambina su di sé, anche quando questi pensieri e sentimenti sono in diretta opposizione alla realtà materiale del corpo. Un linguaggio e delle definizioni poco chiari all’inizio rendono la discussione a valle confusa, se non impossibile: “L’identità di genere ha a che fare con il genere che si è” (ibidem, p. 286). Questa definizione di identità di genere è tautologica; non viene offerta alcuna definizione di genere.
Essendo basata su criteri puramente soggettivi, l’affermazione che si ha un senso interno di identità di genere equivale a un’affermazione di fede non falsificabile. Senza una base nella realtà biologica, l’identità di genere assume il significato di un’essenza, qualcosa di simile a un’anima. L’identità di genere, ci viene detto, è il senso interiore di una persona di essere un uomo, una donna o qualcos’altro. Sia che si creda nell’esistenza di un’anima immortale, sia che la si trovi una metafora degna per descrivere l’esperienza, si riconosce il valore del concetto. Come metafora, la nozione di identità di genere invita a porsi domande sulla nostra natura, sul nostro rapporto con la cultura e sulla nostra relazione con l'”altro” interiore. Può essere il miglior modo possibile per esprimere una verità ineffabile, ma non trattiamo l'”anima” come un fatto empirico. Non basiamo leggi o trattamenti medici invasivi sulla sua esistenza, a differenza dell’identità di genere, che viene trattata come realtà empirica in alcune aree della legge e della pratica clinica. Quando l’identità di genere viene considerata un fatto empirico, la metafora si concretizza. Perdiamo la capacità di relazionarci con il nostro mondo interiore in modo simbolico e quindi imponiamo interventi sul corpo fisico. Quando le metafore vengono rese letterali, il corpo letterale diventa un veicolo per l’espressione metaforica (Bret Alderman, comunicazione personale).
Secondo il modello affermativo di cura, cosa dobbiamo affermare? Possiamo convalidare il disagio di un giovane nei confronti dei ruoli di genere restrittivi. Possiamo celebrare il suo desiderio di trasgredire le norme di genere convenzionali e di indossare abiti o acconciature che sfidano le aspettative di genere. Possiamo affermare e normalizzare i sentimenti di attrazione per lo stesso sesso e aiutarlo ad accettarli in una società in cui l’omosessualità non è sempre accettata. Possiamo convalidare l’angoscia di una persona giovane per la mancata corrispondenza tra il suo senso di sé e il suo corpo. Possiamo affermare l’importanza di questi sentimenti e il disagio che causano. E possiamo rispettare il suo bisogno di vivere in un ruolo di sesso opposto come un potenziale modo per gestire questo disagio. Ma in pratica, l’affermazione spesso va oltre, affermando – o forse confermando – la convinzione della paziente di avere un’identità di genere maschile innata (Spiliadis 2019). In questo caso, stiamo forse collaborando con l’evitamento della realtà?

La conferma della falsa credenza di una giovane persona la mette in contrasto con il suo corpo, la sua realtà biologica, e la pone in una situazione di svantaggio adattativo.

Jung ha sottolineato che un adattamento adeguato richiede che un individuo sia in grado di “crescere nel terreno in cui è stato piantato” prima di poter procedere a un’ulteriore crescita psicologica (1971, par. 761). L’adattamento richiede il confronto e l’accettazione della realtà in cui ci troviamo. Non aiutiamo i nostri pazienti incoraggiandoli ad aggrapparsi alle illusioni.
Livia, una donna che ha effettuato la detransizione di 23 anni, che ha subito una mastectomia e un’isterectomia rispettivamente a 20 e 21 anni, ha parlato all’evento Detransition Advocacy Network di Manchester, nel Regno Unito, nel 2019. Ha sottolineato il ruolo della realtà nella sua transizione e detransizione:
 
“È davvero difficile concentrarsi su una cosa, ma la parola che mi è rimasta più impressa è ‘realtà’. Sento che per me la transizione è stata un modo per uscire dalla mia realtà di donna omosessuale. Quando abbiamo iniziato questa conversazione, la parola che era importante per me era ‘realtà’. E per me la realtà è che… un’isterectomia e la rimozione delle ovaie non ti rendono meno donna. Quindi, per me non ha alcun senso che questa venga chiamata transizione o cambiamento di sesso, perché non è che una castrazione. E ora che sto cercando di prendermi cura della mia salute il più possibile, passo molto tempo sui siti di supporto all’isterectomia e sulle bacheche per le donne – per le donne, perché solo le donne si sottopongono a isterectomia e solo le donne affrontano le conseguenze di un’isterectomia. “
(Livia 2019)
 
L’approccio affermativo per gli adolescenti può reificare le “difese contro la realtà” (Lemma 2016, 366). Il compito della vita – così come il compito della terapia – è quello di venire a patti con ciò che non può essere cambiato e di elaborare il lutto per poter andare avanti. La realtà del nostro corpo insiste per essere affrontata e accettata nell’adolescenza. Questo compito può essere particolarmente impegnativo per le adolescenti di sesso femminile. La transizione sociale e medica intrapresa senza un’adeguata comprensione può facilitare “l’elusione del processo di lutto per ciò che non può essere cambiato” (ibidem, 369).
Fare i conti con la realtà corporea è un compito importante nell’adolescenza. È il momento in cui impariamo come sarà il nostro corpo da adulti. Quanto sarò alto? Che aspetto avrò? Tenderò a ingrassare facilmente? L’inesorabile realtà del nostro corpo è, per molti di noi, la prima richiesta di affrontare i limiti, un doloroso prerequisito per venire all’esistenza nello spazio e nel tempo tridimensionali. Jung comprese la grande importanza di fare i conti con la realtà – e con la realtà del nostro corpo – per quanto riguarda l’individuazione:
 
“Se foste uno spirito potreste essere ovunque, ma il fatto maledetto è che siete radicati proprio qui, e non potete saltare fuori dalla vostra pelle; avete delle necessità precise. Non potete allontanarvi dal fatto del vostro sesso, per esempio, o del colore dei vostri occhi, o della salute o della malattia del vostro corpo, della vostra resistenza fisica. Sono fatti precisi che fanno di voi un individuo, un io che è solo voi stessi e nessun altro. Se foste uno spirito potreste scambiare la vostra forma ogni minuto con un’altra, ma essendo nel corpo siete catturati; quindi, il corpo è una cosa così scomoda: è una vera e propria seccatura. Tutte le persone che si dichiarano spirituali cercano di allontanarsi dal fatto del corpo; vogliono distruggerlo per essere qualcosa di immaginario, ma non lo saranno mai, perché il corpo lo nega; il corpo dice il contrario. Pensano di poter vivere senza sesso o alimentazione, senza le condizioni umane ordinarie; ed è un errore, una menzogna, e il corpo nega le loro convinzioni ” (1988, pp. 63-64).
 
Gli ormoni antagonisti che sopprimono il rilascio di ormoni naturali, gli ormoni intersessuali che creano caratteristiche di sesso opposto e gli interventi chirurgici che rimuovono parti del corpo o ne creano dei fac-simili sono sforzi prometeici per sottomettere la realtà biologica. Sfidiamo il corpo a caro prezzo. L’impatto psicologico e fisico a lungo termine degli interventi medici non è ben compreso e tali interventi creano solo l’aspetto del sesso opposto. Nessuno può effettivamente cambiare sesso. Come dice Jung, dobbiamo riconoscere la realtà dell’incarnazione.
 
Realtà e trauma

Il trauma psicologico deforma il nostro senso della realtà, rendendoci incapaci di fidarci dei nostri sensi. Aiutare un paziente a recuperare il suo rapporto con la realtà può essere un aspetto importante del lavoro sul trauma. Il dolore di Maya per la perdita della zia è stato negato e lei è stata incoraggiata ad “andare avanti”, come se quella relazione fosse insignificante. Anche la realtà del rapporto con i genitori non le era stata restituita. Questa rottura del senso di realtà le rendeva difficile dare un senso alla sua situazione e contribuiva a una scarsa regolazione degli affetti, poiché era sempre confusa sulla natura e sulla localizzazione del problema. Quando Maya ha effettuato la detransizione e ha riaffermato la sua realtà biologica, il suo disagio è diminuito e si è sentita in qualche modo più contenuta. Quando si è ricollegata alla realtà nelle sue relazioni, il suo senso di coerenza e di equilibrio psichico è aumentato. Anche se la realtà era angosciante, il fatto di avere una salda presa sulla verità le ha dato una maggiore resilienza.
Il caso di Maya illustra la misura in cui un problema di presentazione era una metafora di un lutto irrisolto e di una genitorialità carente, in seguito esacerbata da ferite di tipo professionale e tra pari. Lo scopo del trattamento psicologico è quello di portare alla coscienza le questioni inconsce, recuperando e ricollegando così affetti, cognizione e realtà. La psicologia del profondo presuppone la presenza attiva di processi di compensazione e simbolizzazione inconsci.
 
Il mythos dell’identità di genere

Se pensiamo alla credenza nell’identità di genere come a una sorta di fantasia nevrotica, “potremmo anche immaginare un tesoro nascosto al suo interno, qualcosa di potenzialmente curativo e redentivo” (Alderman 2016, p. 58). Che cosa sta cercando di curare o compensare questo sintomo nel collettivo? Il modello affermativo di cura concretizza il dolore psichico, lo localizza nel corpo e cerca trattamenti biomedici per esso. Paradossalmente, offre anche una fede compensatoria in un’essenza disincarnata e ineffabile. In un documentario della BBC, lo psicoterapeuta transgender Herschel Russell racconta la storia di una mamma che chiese al figlio di 8 anni, di un genere non conforme al suo sesso, come facesse a sapere di essere davvero un maschio. Secondo Russell, il bambino rispose: “So che in fondo al cuore c’è la musica” (Conroy 2017). Con il continuo declino delle credenze religiose tradizionali, stiamo inconsciamente cercando un nuovo modo di concettualizzare lo spirito e il genere come imperativo misterioso e disincarnato ce lo offre? Il mythos che informa l’approccio affermativo ci permette di vederci come esseri con un’esistenza che trascende la nostra mera forma corporea. Jung ha notoriamente osservato che “gli dei sono diventati malattie” (1967, par. 54). L’ideologia dell’identità di genere può essere un tentativo inconscio di trovare il divino nascosto nella malattia. Forse ci viene chiesto di ritrovare una connessione con ciò che non è razionale e trascende la materialità. Se questo è il correttivo offerto dall’ideologia dell’identità di genere, faremmo bene a lasciarci informare da questo impulso, pur mantenendo il contatto con la realtà incarnata.

CREDITS IMMAGINE Noel Marcantel Photography

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